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L’auspicio di Fabio Pinelli, vicepresidente del Csm, era che sulle regole per le nomine si trovasse una proposta unitaria. Una sfida complicata, forse impossibile, data l’inconciliabilità delle due proposte in gioco. Che sono diventate subito un pretesto per l’ennesima puntata della guerra politica tra correnti, impegnatissime, ora, nella campagna elettorale per la nomina dei nuovi vertici dell’Associazione nazionale magistrati.
Le proposte - anticipate a inizio ottobre in esclusiva dal Dubbio - sono due. La proposta A opera piccoli aggiustamenti chirurgici alla circolare attuale, lasciando al Consiglio un’ampia discrezionalità. Rimangono invariati i criteri di indipendenza, imparzialità ed equilibrio per gli incarichi direttivi e semidirettivi, continuando a distinguere tra attitudini e merito. L’idea è quella di considerare un requisito minimo di esperienza per gli aspiranti ai posti direttivi e semidirettivi, con la prevalenza degli indicatori specifici su quelli generali. La proposta B, invece, punta ad aggirare il sistema a discrezionalità ampia, considerato la fonte dei problemi, con una restrizione che circoscrive la discrezionalità all’attribuzione del peso ai vari parametri. Prevede un sistema di punteggio per i magistrati basato su diversi parametri: quello del merito, con punteggi fissi per valutazioni positive e decurtazioni per quelle negative, quello delle attitudini, con punteggi distinti per ogni elemento e tipo di ufficio, con l’esclusione dei punteggi per le esperienze negative, ma con punti extra per risultati eccezionali, e l’anzianità, non più residuale, considerando gli anni di servizio al momento della domanda. E in caso di valutazioni di merito e attitudini equivalenti, l’anzianità potrà essere utilizzata per assegnare l’incarico al magistrato più anziano, in linea con la legge delega. Saranno poi valorizzate le esperienze direttive, quelle fuori ruolo e le attività di collaborazione.
Dopo la riunione allargata convocata da Pinelli, dunque, a tentare una sintesi sono le toghe di Area, che sul loro sito hanno pubblicato oggi un intervento per indicare «la terza via». Il voto è previsto lunedì, ma a questo punto dire che i giochi siano chiusi è forse presto. «Nella Quinta commissione sono state avanzate più proposte, tutte orientate nel senso di irrigidire i criteri di selezione dei candidati agli uffici direttivi e semidirettivi, al fine di rendere le decisioni consiliari in materia di nomine più prevedibili e più leggibili - scrivono i togati di Area Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone (componente della V), Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello -. L’esperienza della prima fase di questa consiliatura ha infatti confermato come la griglia di criteri offerti dall’attuale testo unico sia a maglie larghe al punto da consentire di motivare scelte valutative opposte (con fortune alterne davanti al giudice amministrativo), pur in situazioni del tutto sovrapponibili, in relazione alla prevalenza di uno o altro criterio».
Ma qual è l’idea di Area, che fino ad ora era sembrata più propensa alla proposta a punteggi sostenuta da Unicost, Md e gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda? «Noi siamo convinti della necessità che le maglie regolatrici delle nomine vengano ristrette, anche – ma non solo – per marcare una discontinuità normativa e concreta con la stagione della degenerazione clientelare emblematicamente rappresentata dalle chat rinvenute nel telefono del dottor Palamara (degenerazione, peraltro, non certo confinata solo all’interno di quelle chat) - si legge -. Al contempo, tuttavia, riteniamo, per un verso, che privare il Csm di qualunque spazio di valutazione discrezionale nelle scelte dei dirigenti giudiziari rischi di depotenziare il senso del ruolo costituzionale dell’Organo di autogoverno; per altro verso, che un sistema di valutazione fondato sui punteggi non costituisca, di per sé stesso, garanzia di scelte prevedibili e trasparenti. Anche un sistema di punteggi conserva infatti, inevitabilmente (e, in definitiva, auspicabilmente), margini di discrezionalità il cui esercizio, formalizzato nella fissazione di un numero all’interno di un range, potrebbe risultare altrettanto difficilmente controllabile di quanto sarebbe se fosse formalizzato in un’argomentazione discorsiva».
La proposta di sintesi prenderebbe, dunque, dalla proposta B l’idea dei punteggi, ma «non attribuendo indici numerici alle esperienze dei candidati, bensì gerarchizzando rigidamente gli indicatori previsti dal decreto legislativo». L’ipotesi di lavoro, dunque, si basa su «un quadro fondato su una preliminare valorizzazione della durata dell’esperienza giudiziaria degli aspiranti nel settore del posto a concorso, e, a seguire, in una selezione per passaggi successivi, diversi a seconda della funzione da conferire: più stringente per i posti iniziali della catena dirigenziale (semidirettivi di primo e secondo grado, direttivi di uffici piccoli o medi), che sono numerosi e nei quali normalmente iniziano le esperienze direttive dei colleghi; più elastica – ma pur sempre ancorata a un ordine preferenziale di indicatori – per i posti direttivi di primo grado di grandi dimensioni, di secondo grado e di legittimità. L’obiettivo del nostro tentativo di mediazione è quello di fare convergere tutto il Consiglio, o almeno la più larga maggioranza possibile, su un articolato che garantisca trasparenza e credibilità alle nomine consiliari, valorizzi il tempo di esercizio nella giurisdizione negli uffici e cerchi di superare la tendenziale separazione esistente di fatto tra i colleghi che già hanno incarichi dirigenziali e gli altri magistrati, scoraggiando i passaggi senza soluzione di continuità da una ad altra funzione direttiva».
A commentare la proposta è il segretario di Area, Giovanni Zaccaro: «La cosa fondamentale è dare prevedibilità e leggibilità alle nomine - spiega al Dubbio -, stabilendo a priori regole chiare che valgono in tutti i casi simili, altrimenti si sarà sempre in balia delle maggioranze di turno e della oscillante giurisprudenza amministrativa. Io valorizzerei l’esperienza sul campo e stabilirei una gerarchia fra i criteri di scelta. Come farlo in concreto spetta ai consiglieri». Pronta la replica di Mirenda: «Purtroppo, contrariamente a quanto pensa Area, la legge Cartabia è il frutto occhiuto di un sistema a tutti noto, pensato proprio per non assicurare prevedibilità e leggibilità delle nomine. Il tutto grazie ad una messe arruffata di parametri ridondanti e ripetitivi, buoni solo a garantire mani libere alle correnti consiliari più forti - commenta -. In questo contesto malato ab origine, massimo dovrebbe essere, allora, lo sforzo di autovincolo del Consiglio, per mettersi al riparo dai consueti magheggi. Continuo a pensare, così, che la soluzione “a punteggi” - non a caso aborrita dalle due correnti ora più forti e maggiormente interessate a mettere a profitto la loro forza - rappresenti lo sforzo massimo possibile in tal senso, pur non escludendo in assoluto “aggiustamenti” che, tuttavia, saranno assai più visibili e aggredibili davanti al giudice amministrativo” - conclude -. Ovviamente la rotazione temporanea dei magistrati negli incarichi, in ordine di anzianità, sarebbe la vera risposta, la soluzione definitiva e radicale per mettere fine al nominificio: una riforma che renderebbe superfluo persino il sorteggio, una volta sottratto alle correnti il boccone su cui prosperano».