Quando si discute di nomine e di incarichi al Consiglio superiore della magistratura il clima è sempre incandescente. A maggior ragione quanto si discute dei “criteri” da utilizzare per assegnare tali nomine ed incarichi.

Per comprendere come mai le nomine dei capi degli uffici giudiziari siano ormai terreno di scontro quotidiano a piazza Indipendenza, è necessario fare un salto indietro e tornare al 2006, quando il Parlamento decise di riformare l’ordinamento giudiziario mandando così in soffitta il criterio dell’anzianità per quello dell’attitudine e del merito. Da allora, come dice il togato indipendente Roberto Fontana, «il sistema consente di nominare chi vuoi, scrivendo poi la motivazione necessaria».

Concetto ben reso da una celebre chat, divenuta di pubblico domino a seguito dell’indagine della Procura di Perugia, fra un componente togato di Palazzo Bachelet e Luca Palamara, allora potente presidente della Commissione per gli incarichi direttivi: «Scegli chi devi andare e poi mettiamo a bando il posto».

Per superare questo sistema, nato con le migliori intenzioni ( in quanto fino a quel momento l’incarico direttivo era una sorta di premio a fine carriera) ma poi stravolto dalle logiche spartitorie, è ora in discussione un meccanismo a “punteggi” predeterminati ( vedasi Il Dubbio del 19 ottobre).

Le nuove regole “anti lottizzazione” hanno però spaccato il Csm.

Ad oggi sono fortemente sponsorizzate solo da Unicost, l’ex corrente di Palamara che in tal modo spera di recuperare i consensi perduti, dagli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, quest’ultimo a dire il vero favorevole al sorteggio, e dalla togata di Md Mimma Miele.

Area, la corrente progressista, secondo Mirenda, manifesta una «pesante ambiguità nel reale contrasto al “nominificio”, di cui pure è stata - in passato - protagonista», in quanto al suo interno ci sarebbero forti contrasti fra chi vuole mantenere l’attuale sistema e chi vuole i punteggi. «La politica sembra quella del piede in due scarpe», aggiunge Mirenda.

Contrarissimi ai punteggi, invece, i togati di Magistratura indipendente che puntano ad un correttivo del Testo unico, migliorandone gli indicatori, per non lasciare campo libero agli «algoritmi».

Con una nota diffusa ieri, i consiglieri di Mi hanno stigmatizzato la diffusione in questa fase dei contenuti del contenuto delle delibere, ancora in fase di discussione. «Quella che viene sbandierata e pubblicizzata con tanta enfasi come la madre di tutte le riforme consiliari ( capace di sanare ogni patologia correntizia) non sia che una ben organizzata finzione dove chi decide non si assumerà la responsabilità nascondendosi dietro i numeri ma dove anche e soprattutto si finge di porre regole stringenti aumentando viceversa la discrezionalità», si legge nella nota.

«Anche chi sostiene la proposta, ammette che “il margine di manovra non sarà azzerato” e che “le manovre continueranno”. Noi aggiungiamo che le “manovre” potranno aver luogo senza controllo. Se non si predeterminano gli indicatori e si fa riferimento alle “esperienze” e “risultati” eccezionali, il giudice amministrativo non avrà più la possibilità di esercitare efficacemente il proprio sindacato. Esattamente come nel passato, in cui Unicost Area ed Md erano certamente indiscussi protagonisti», aggiungono i togati di Mi.

Sullo sfondo, comunque, si staglia la campagna elettorale per il rinnovo dei vertici dell’Anm che rischia di condizionare la discussione in Plenum sul nuovo Testo unico. «Riteniamo l’istituzione consiliare troppo importante e le sue determinazioni troppo rilevanti per il futuro e la tenuta democratica del sistema giustizia per essere in qualsiasi modo scaraventata nell’agone elettorale del sindacato dell’Anm», ricordano dalle parti di Mi.

«Di questa delibera si discuterà per dieci anni», è stato il commento di Fontana.