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Csm
Legge elettorale: parola magica. Basta pronunciarla per alzare la temperatura. Vale per la politica, come per i magistrati. E di qui a poco, di legge elettorale del Csm si parlerà con la stessa febbrile compulsione insinuatasi nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio a proposito di quella per le Politiche.
Nonostante un ultimo, piccolo slittamento alla prossima settimana per l’esame in Consiglio dei ministri, del ddl sul Csm ormai si conoscono i dettagli, compresi quelli del meccanismo per eleggere i togati, e non sono più in vista clamorose modifiche. Dalla riunione consumata martedì notte fra il ministro Alfonso Bonafede e gli sherpa della maggioranza delegati alla giustizia è uscito infatti il definitivo via libera alla riforma del Consiglio superiore, con un solo estremo caveat del Pd sulla parità di genere: la delegazione guidata dal sottosegretario Andrea Giorgis e dal responsabile del dipartimento Walter Verini ha infatti chiesto al guardasigilli di richiamare esplicitamente nel testo della delega il meccanismo in base al quale andrà assicurato l’equilibrio nella composizione del plenum, nel quale le magistrate non potranno più essere in clamorosa minoranza rispetto ai colleghi. Tra l’altro, sarà possibile per ciascun magistrato elettore indicare fino a quattro preferenze con una diversa gradazione: il primo voto peserà 1, il secondo 0,80, il terzo 0,60, il quarto 0,40. Chi deciderà di esprimere le preferenze multiple, sarà obbligato ad assicurare l’equilibrio tra i generi, appunto. È un primo segno distintivo, che dovrebbe favorire una certa maggiore visibilità dei candidati indipendenti: sarà più facile, per l’aspirante consigliere superiore non legato ad alcuna corrente, chiedere ai colleghi di riservargli, se non la preferenza più “pesante”, almeno una delle altre. In tal modo chi tra gli outsider gode di una certa personale popolarità fra i magistrati del distretto, dovrebbe farsi più agevolmente strada.
In realtà con lo schema disegnato nel ddl delega, aperto alle modifiche del Parlamento, i gruppi associativi non sarebbero destinati a perdere il loro peso. Il collegio uninominale sarà aggiudicato al primo turno solo qualora il primo dei votati raggiungesse la stratosferica quota del 65 per cento. In tutti gli altri casi si procederà al ballottaggio. E se il ballottaggio fosse “esplicito”, cioè se i magistrati fossero chiamati fisicamente una seconda volta alle urne, si andrebbe verso un bipolarismo togato. Verrebbe cioè favorita quella tendenza, che già alcuni settori dell’Anm intravedono, di scomposizione dell’attuale assetto delle correnti: rispetto alle quattro di oggi ( la progressista Area, la moderata Magistratura indipendente, la centrista Unicost e la davigihiana Autonomia e indipendenza), si favorirebbero due schieramenti. Uno composto da Area e dalla gran parte di Unicost, l’altro imperniato su “Mi” ma arricchito da “Movimento per la Costituzione”, il gruppo fuoriuscito da Unicost e guidato dall’ex segretario della componente centista Enrico Infante. In un quadro simile, il gruppo intransigente di Davigo e Sebastiano Ardita rischierebbe di dividersi, con due filoni attratti dai due rassemblement maggiori, anche tenuto conto che l’ex pm di Mani pulite sta per congedarsi dalla magistratura e non potrà più esercitare la sua decisiva leadership.
C’è chi come Antonio Sangermano, che ha guidato con Infante la fuoriuscita da Unicost, ha preconizzato con largo anticipo un simile scenario. Ma ora in realtà proprio il gruppo a cui Sangermano e Infante si sono avvicinati, “Mi”, si schiera a sorpresa per il “sorteggio temperato”, ossia per la selezione casuale dei magistrati candidabili al Csm. Serve «un elemento di imprevedibilità, totalmente sottratto al controllo delle correnti, prevedendo che la scelta dei togati al Csm avvenga tramite l’elezione preceduta dal sorteggio della platea dei candidati, nel rispetto della rappresentanza di genere», si legge nella nota diffusa ieri da presidente e segretaria di “Mi”, Mariagrazia Arena e Paola D’Ovidio. Altrimenti, osservano le due magistrate, «permarrebbero sempre le cooptazioni correntizie dei candidati». E «in sede di ballottaggio ( ove previsto) sarebbero inevitabili accordi associativi di desistenza e incentivate pratiche più o meno occulte di apparentamento tra le correnti, anche basate su sostegni incrociati, che tengano in considerazione gli esiti del primo turno in più distretti». Un modo come l’altro per dire che la partita vera, sul sistema elettorale del Csm, si giocherà in Parlamento.