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Il procuratore di Roma Francesco Lo Voi
Mentre Giorgia Meloni attacca i magistrati “politicizzati”, accusandoli di voler «governare», dal Csm parte l’attacco al procuratore di Roma Francesco Lo Voi, con una pratica che punta, di fatto, a farlo finire sotto procedimento disciplinare. L’iniziativa è delle laiche di centrodestra Isabella Bertolini e Claudia Eccher, che utilizzando le argomentazioni messe nero su bianco mercoledì dall’Unione delle Camere penali, che ha contestato l’iscrizione sul registro degli indagati della presidente del Consiglio, del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro della Giustizia Carlo Nordio e di quello dell’Interno Matteo Piantedosi dopo la denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti in merito all’affaire Almasri. Denuncia che Lo Voi, come noto, ha trasmesso al Tribunale dei Ministri, iscrivendo mezzo governo sul registro degli indagati e, pertanto, ritenendo il reato astrattamente configurabile. Dal punto di vista procedurale, affermano le due laiche, a seguito della riforma Cartabia, l’articolo 335 «prevede che l’iscrizione riguardi un “fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice” e che risultino “indizi a suo carico”».
La norma, anche prima della riforma, affermano le due consigliere, non prevedeva un automatismo tra ricevimento della notizia e iscrizione nel registro degli indagati. «Pertanto, a fronte dell’assenza di criteri che indicassero quando dovesse ritenersi integrata una notizia di reato o sussistenti a carico di una persona elementi tali da imporne la sua iscrizione, nella prassi applicativa, formalizzata anche in passato in circolari adottate dai dirigenti degli uffici di Procura - il riferimento è alla circolare 3225/ 17 adottata dall’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, nda -, si era consolidato l’orientamento secondo cui, anche in una logica di garanzia, nell’apprezzamento dei presupposti per procedere all’iscrizione, fosse ineliminabile una componente di discrezionalità valutativa del pubblico ministero».
Insomma: è inevitabile che il procuratore debba fare delle valutazioni e in questo caso, dunque, le ha fatte. In maniera contraria alla legge, secondo le sue laiche. Che infatti citano un passaggio particolare della circolare Pignatone, quello in cui veniva evidenziato il carattere a volte strumentale delle denunce e di come le iscrizioni vengano spesso sollecitate per ragioni «estranee alle fisiologiche dinamiche processuali».
No, quindi, agli automatismi: «Procedere ad iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute», scriveva l’ex procuratore di Roma. Una logica fatta propria da Eccher e Bertolini, che nemmeno troppo velatamente sembrano far ricadere la denuncia di Li Gotti in questa categoria: quella delle azioni giudiziarie strumentali. Sicché, parlare di «atto dovuto» sarebbe sbagliato. Una «errata conclusione» frutto «di una interpretazione impropria dell’art. 335 c. p. p. (norma che impone l’immediata iscrizione di colui al quale il fatto è attribuito)» che «contrasta con le indicazioni della Corte di Cassazione e, ancor di più, con il sistema, in quanto finisce per attribuire impropriamente alla Polizia Giudiziaria - o, addirittura, al privato denunciante il potere di disporre in ordine alle iscrizioni a mod. 21, potere che, viceversa, non può che essere esclusivo del pubblico ministero ed al cui ponderato esercizio questo ufficio non intende sottrarsi».
Tale principio è stato confermato dalla delibera del Csm del 29 luglio 2021, che nel dare un parere sulla riforma Cartabia richiamava la circolare di Pignatone, ribadendo l’ineliminabilità di una componente di discrezionalità nell’apprezzamento dei presupposti per l’iscrizione. Per cui per individuare le persone da iscrivere, il pm dovrà «preliminarmente valutare un materiale investigativo ampio oppure apprezzare con oculatezza le complesse risultanze di fatto in modo da evitare iscrizioni precoci e indiscriminate».
Altro riferimento, la sentenza “Lettieri” ( 40538/ 2009) delle Sezioni Unite della Cassazione, in base alla quale «l’obbligo di iscrizione si genera in capo al pm quando, avuto riguardo alla componente “oggettiva” (i fatti di reato), gli elementi acquisiti, pur se non tali da costituire una base fattuale per elevare l’imputazione, integrano un po’ più di una indefinita “ipotesi” di reato; mentre, con riferimento alla componente “soggettiva” (l’iscrizione del nome dell’indagato), fosse superata la soglia del mero sospetto e l’attribuibilità del reato all’indagato assumesse una certa pregnanza».
Eccher e Bertolini, dunque, hanno sollecitato l’apertura di una pratica in Prima Commissione, «nonché presso le altre articolazioni consiliari competenti individuate da codesto Comitato di Presidenza anche al fine di eventuali profili disciplinari, in relazione alle modalità e tempi dell’iscrizione» di Meloni e dei suoi ministri, «in quanto non conforme alla formulazione dell’art. 335 c. p. p. vigente, nonché ai sensi della prassi dettata dalla stessa procura di Roma nel 2017, dell’interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione e dei pareri adottati dal Csm in materia».
Una risposta non solo a Lo Voi, ma anche all’iniziativa di tutti i togati di Palazzo Bachelet e del laico dem Roberto Romboli, che hanno chiesto l’apertura di una pratica a tutela della magistratura dopo le parole pronunciate da Nordio in Parlamento, questione ora all’attenzione della Prima Commissione.