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Battaglia al Csm sull’accesso del singolo consigliere all’ufficio stampa. Il consigliere indipendente Andrea Mirenda e la togata di Magistratura democratica Mimma Miele hanno infatti presentato un emendamento alla delibera sulle linee guida per il coordinamento e l’integrazione delle attività dell’Ufficio stampa e dell’Ufficio per la comunicazione istituzionale del Consiglio, lamentando una gestione «paternalistica» delle attività. La proposta della Seconda commissione, presentata ieri in plenum dalla togata di Mi Paola D’Ovidio, infatti, prevede un’interlocuzione dell’Ufficio «col vicepresidente e coi singoli consiglieri, affinché «l’elaborazione della comunicazione sia rispondente al loro pensiero e rispettosa del canone di continenza proprio dell’attività istituzionale», garantendo «la parità di trattamento degli organi di informazione ai quali la comunicazione consiliare sia rivolta».
Una misura a tutela dell’immagine del Consiglio, che però, due punti più avanti, prevede un «assenso del Segretario generale a preparare le note e i comunicati stampa e gli eventi divulgativi e a darne la dovuta pubblicità esterna». Una sorta di “divieto di accesso” - questa l’impressione dei due consiglieri - che arriva qualche giorno dopo la lettera scritta da Fabio Pinelli ai membri del plenum, ai quali aveva rimproverato non solo la scelta di interloquire con la stampa sulle pratiche ancora da approvare - in quel caso il riferimento era alla circolare per le nomine -, ma anche quella di organizzare dibattiti sul tema all’esterno di Palazzo Bachelet.
Mirenda e Miele, dunque, hanno proposto una modifica: sostituire la frase «affinché l’elaborazione della comunicazione sia rispondente al loro pensiero e rispettosa del canone di continenza proprio dell’attività istituzionale» con l’espressione «affinché l’elaborazione della comunicazione, non soggetta al previo assenso del Segretario generale, sia rispettosa del canone di continenza proprio dell’attività istituzionale».
La proposta, però, non sembra essere stata apprezzata dal vice presidente e dai togati, con una sorta di «chiusura a riccio - ha commentato Mirenda - frutto di chiara visione paternalistica e pedagogica del singolo consigliere, soggetto bisognoso di essere filtrato nella sua comunicazione esterna. Ci dicono che possiamo già parlare direttamente ai giornalisti, ma non si capisce perché un consigliere debba genuflettersi ad un giornalista, invocando qualcuno che dia conto delle sue iniziative istituzionali, anziché avere lo strumento interno appropriato e trasparente». Dopo una breve sospensione, il vicepresidente Fabio Pinelli ha comunicato che la delibera, così come presentata in plenum, era stata sottoposta al Presidente della Repubblica, che aveva dato il suo placet.
«Questa proposta di modifica», ha dunque aggiunto Pinelli riferendosi all’emendamento Mirenda-Miele, «incide in modo significativo sulla delibera», motivo per cui diviene «necessario» sottoporre la questione nuovamente al Quirinale. Discussione rinviata, dunque, in attesa del responso del Presidente Sergio Mattarella. Che dovrà ora stabilire se i consiglieri siano autorizzati o meno a fruire dell’Ufficio stampa o se debbano, prima, ottenere un permesso. «Fino alla consiliatura precedente era del tutto pacifico che il consigliere potesse accedere all’Ufficio stampa senza mediazioni - spiega al Dubbio Mirenda -. Vorrei chiedere se e in quali termini quel diritto sia ancora assicurato da questa proposta. L’ho chiesto, in apertura di dibattito, ma non ho ottenuto nessuna risposta seria».
Dalla lettura della delibera, spiega infatti il togato indipendente, appare chiaro che «comunicati diretti non sono possibili, ci possono essere solo “elaborati” dell’ufficio stampa che devono essere “rispondenti al pensiero” dei singoli consiglieri comunicanti; inoltre tutti i comunicati devono ricevere il previo assenso del Segretario generale conclude -. L’incomprensibile arretramento del profilo costituzionale del singolo consigliere mi pare del tutto evidente».