PHOTO
CARLO NORDIO EX MAGISTRATO FRANCESCO PAOLO SISTO
Sarà uno dei provvedimenti in cima ai pensieri del governo dopo la sessione di bilancio. Si tratta delle linee guida sui criteri dell’azione penale, che verranno stabiliti sulla base di una valutazione politica, stando a quanto chiarito dal ministro Carlo Nordio nel corso del question time di giovedì. Un provvedimento che cambierà le abitudini delle procure, fino ad oggi “indirizzate” dal Consiglio superiore della magistratura e che ora riceveranno indicazioni di natura politica, così come previsto dalla riforma Cartabia, parte rimasta, fino ad oggi, inattuata. Tant’è che il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin aveva presentato un disegno di legge per accelerare la definizione dei criteri, richiamandosi proprio a quanto evidenziato nella relazione finale della Commissione Lattanzi, che evidenziava la «necessità di collocare il principio sancito dall’articolo 112 della Costituzione (“Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale”) in un contesto coerente con la reale quantità di notizie di reato». L’obiettivo era, dunque, quello di garantire maggiore trasparenza nelle scelte necessarie per attuare concretamente il principio di obbligatorietà.
Nordio, replicando a Zanettin, ha sottolineato che «ogni magistrato, ossequioso al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale scritto in Costituzione, si riteneva - secondo me giustamente - in diritto di procedere secondo le sue intenzioni, anche se poi di fatto, come sappiamo, l’azione penale era diventata discrezionale o addirittura arbitraria. Dopo la cosiddetta legge Cartabia - ha aggiunto -, il Parlamento deve dare questi indirizzi generali, ai quali - poi - le procure dovranno in un certo senso uniformarsi, quantomeno sotto gli aspetti organizzativi, fermo restando che, rimanendo l’obbligatorietà dell’azione penale, il loro perimetro di intervento sarà limitato». Nordio ha dunque annunciato che sul tema lavorerà insieme al viceministro Francesco Paolo Sisto e - «spero» con la collaborazione dell’opposizione, «perché questa è una materia che riguarda tutti. L’indirizzo generale sulla priorità dei reati da perseguire è, infatti, più politico che giuridico. Vogliamo dare la preferenza ai reati dei colletti bianchi o a quelli del codice rosso, di corruzione o di terrorismo? Poi, se tutto è priorità, niente diventa più priorità, quindi è una notevole responsabilità, vorrei dire parlamentare, alla quale certamente il governo e il ministero si associano, proprio come studio e contributo per arrivare a una soluzione soddisfacente - ha aggiunto -, che lo sia anche per le procure, perché se poi le procure della Repubblica, anche in base a questa legge e a questo indirizzo, si discostano, invocando la fonte primaria della Costituzione, che è l’obbligatorietà dell’azione penale, la questione si complica ancora. Quindi, in conclusione, il governo e il Parlamento, compresa maggioranza e opposizione, è bene che lavorino insieme per trovare un indirizzo unitario, condiviso possibilmente anche con il Consiglio superiore della magistratura». Un’affermazione, quest’ultima, che sembra ricondurre alla bocciatura che Palazzo Bachelet ha dato al dl Flussi (peraltro deliberata proprio mentre il Senato approvava il decreto in via definitiva) e che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha dichiarato di non comprendere.
Dal canto suo, l’opposizione, per quanto riguarda il Partito democratico, avvisa Nordio di non essere disposta a fare passi indietro sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. «Con grande attenzione e senso di equilibrio - ha dichiarato al Dubbio la vicepresidente del Senato Anna Rossomando -, con la riforma Cartabia ci si era spinti fino all’individuazione, da parte del Parlamento, dei criteri di priorità dell’azione penale. Il perimetro non può che essere questo. Se invece si pensa di mettere in discussione l’obbligatorietà dell’azione penale demandando alla maggioranza di turno la scelta, la nostra opposizione sarà ferma, a maggior ragione in tempi di crescita delle disuguaglianze durante i quali è più che mai necessario investire in strumenti materiali e umani nel comparto per assicurare il pieno riconoscimento dei diritti a tutti i cittadini in ambito di giustizia».
Il dibattito, dunque, si preannuncia teso. Dalle parti del governo, al momento, non c’è una traccia precisa, ma la base del ragionamento potrebbe includere il testo del ddl Zanettin, in base al quale il pm deve «conformarsi» ai criteri di priorità definiti nei progetti. Il disegno di legge modifica anche l’articolo 127 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, prevedendo che il procuratore generale presso la Corte d’appello, nel disporre l’avocazione delle notizie di reato ai sensi degli articoli 412 e 421-bis, comma 2, debba considerare i criteri di priorità indicati nell’articolo 3-ter. Relativamente alla gestione dei ruoli di udienza e dei processi, Zanettin ha attribuito priorità assoluta ai procedimenti relativi a reati come diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, lesioni personali a pubblici ufficiali durante manifestazioni sportive o a operatori sanitari e loro ausiliari, costrizione o induzione al matrimonio. Infine, il testo prevede inoltre che le comunicazioni alle Camere sull’amministrazione della giustizia includano un resoconto sull’applicazione dei criteri di priorità nell’azione penale.