Il dibattito sulla gestione della prima ondata di Covid in Lombardia potrebbe riaccendersi. A rilanciare la questione è l’ex procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, che, in un’intervista al Domani, torna a riflettere su uno dei momenti più drammatici della recente storia italiana: la diffusione del virus nella Bergamasca, il mancato lockdown nei comuni di Alzano e Nembro, e il successivo stallo giudiziario.

Chiappani solleva una domanda centrale: l’atto politico è sindacabile dal punto di vista giudiziario? Se non lo è – osserva – la responsabilità non è della magistratura, ma di un impianto normativo vetusto, ancora ancorato a principi risalenti al 1930. «Il concetto di ‘diffusione’ contenuto nella norma – spiega – non può più valere per una città come Bergamo, servita da un aeroporto che nel 2019 ha registrato 13 milioni di passeggeri. È anacronistico».

L’ex procuratore si riferisce al procedimento penale avviato proprio a Bergamo all’indomani della tragedia sanitaria e poi smembrato tra varie procure. La procura di Brescia, nel 2022, ha archiviato buona parte dell’inchiesta, trasferendo il filone sulla mancata zona rossa ai magistrati di Milano, i quali a loro volta hanno archiviato, senza informarne – accusa Chiappani – gli avvocati dei familiari delle vittime. Una scelta che secondo l’ex magistrato rappresenta «un vulnus enorme: chi rappresentava i morti che stavano nelle bare di Bergamo aveva il diritto di dire la sua».

Oggi, a distanza di anni, resta una domanda aperta: si può riaprire l’indagine? Per Chiappani, la palla è in mano alle procure di Bergamo e Brescia, e in ultima istanza al Tribunale dei Ministri. Ma una svolta potrebbe arrivare dall’estero: la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha infatti dichiarato ammissibile il ricorso dei legali delle famiglie delle vittime, notificandolo al governo italiano. Se la Corte dovesse stabilire che l’indagine fu condotta in violazione dei diritti fondamentali, l’intero impianto potrebbe essere rimesso in discussione.

«La vera questione – conclude Chiappani – è affermare un principio: anche non agire, quando si ha un obbligo giuridico di farlo, può costituire reato. In quel caso, a provocare la diffusione del virus fu un insieme di omissioni». Un tema destinato a rimanere al centro del dibattito pubblico e istituzionale.