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Ora quel filo a cui è sospesa la vita di Alfredo Cospito rischia di spezzarsi davvero. Le 6 del pomeriggio: dal Palazzaccio arriva copia digitale della decisione. “La Corte suprema di Cassazione, prima sezione, ha pronunciato la seguente sentenza sul procedimento proposto da Cospito Alfredo avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 1° dicembre 2022: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”. Il detenuto, in sciopero della fame da 127 giorni, apprende la notizia dalla tv, nel suo letto d’ospedale al San Paolo di Milano. Fino a poche ore prima aveva mitigato il rifiuto del cibo con l’assunzione di integratori. Dopo aver appreso del rigetto pronunciato da piazza Cavour, ha di nuovo rifiutato qualsiasi terapia, riferiscono i medici.
È una decisione che sconfessa i pronostici. Sul tavolo i cinque giudici della Cassazione non avevano solo il reclamo presentato dal difensore dell’anarchico, Flavio Rossi Albertini, ma anche la requisitoria firmata dal pg della Suprema Corte Luigi Salvato e dall’avvocato presso la Procura generale Piero Gaeta: un atto in cui si chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio ai giudici di sorveglianza capitolini. Esito apparso come più che plausibile. Più di un accoglimento tout court della revoca chiesta da Cospito, certo, ma anche assai più del rigetto arrivato alla fine da piazza Cavour.
Il legale: «Vicenda buia»
Interpellato dal Dubbio, l’avvocato Rossi Albertini commenta: «Leggendo i pareri favorevoli della Direzione nazionale antimafia, dei pm antimafia di Torino e del Dap, pareri inviati al ministro della Giustizia, avevamo compreso come la decisione ministeriale fosse stata politica e non giuridica. Dopo la lettura della requisitoria del pg Gaeta, pensavamo che il diritto potesse tornare a illuminare questa buia vicenda. La decisione di questa sera dimostra che ci sbagliavamo». Poi aggiunge: «Viviamo la sentenza come una condanna a morte»
Fuori è rabbia cieca. Le decine di anarchici riuniti in presidio dalla mattina urlano di tutto. «Vergogna» è l’espressione che risuona più delle altre. Un manifestante dice: «Sapevamo che erano servi e venduti, ora sappiamo che sono assassini». E quell’epiteto rimbalza nella piazza. Presidi in attesa della sentenza erano stati allestiti anche all’estero, per esempio a Madrid, oltre che a Torino e in altre città italiane.
Alla rabbia dei militanti fa da contrappunto l’imperturbabile e asciutto commento del guardasigilli Carlo Nordio: «Prendiamo atto della decisione della Corte. Come più volte illustrato in Parlamento, essa attiene al procedimento giurisdizionale di competenza esclusiva della magistratura nella sua piena autonomia e indipendenza». Meno sobrie le parole affidate, per esempio, da Matteo Salvini a un tweet: «Non saranno violenza o minacce a cambiare leggi e sentenze». Replica indirettamente Luigi Manconi: «Leggeremo le motivazioni della sentenza ma sin da ora posso dire che siamo di fronte a un verdetto iniquo». C’è chi nell’esecutivo è assai più preoccupato del capitano leghista. Innanzitutto Nordio: il quale ha interpellato già la settimana scorsa il Comitato di bioetica per chiedere se sarebbe legittimo sottoporre Cospito a nutrizione forzata nonostante l’anarchico abbia firmato una Dat, dichiarazione anticipata di trattamento, in cui rifiuta chiaramente qualsiasi cura, in previsione di una perdita di coscienza. Proprio ieri il Comitato è tornato a riunirsi, e prima ancora che arrivasse la sentenza di piazza Cavour ha diffuso una breve nota in cui fa sapere che si è deciso di proseguire l’analisi sui quesiti posti da via Arenula «al fine di ottenere la massima convergenza possibile, nel rispetto di tutte le posizioni sino a ora emerse».
Vuol dire che nel Comitato c’è chi ritiene costituzionalmente sostenibile l’alimentazione forzata per Cospito. Un’ipotesi legata alla necessità di preservare il 41 bis dal rischio di altri scioperi della fame. Ma sulla possibilità che l’interesse dello Stato a blindare il “carcere duro” prevalga su diritto alla salute e all’autodeterminazione sancito dalla Carta, giuristi del calibro di Giovanni Maria Flick già si sono espressi negativamente.
Restano pochi spiragli. Un’altra componente del collegio difensivo di Cospito, Caterina Calia, spiega che l’anarchico «ormai non si alza più dal letto se non per i colloqui con noi avvocati, non va più all’ora d’aria». Ora il rischio che muoia, o che si debba assistere a un discutibile intervento di nutrizione coatta, è elevatissimo.
Andranno esaminate con cura le motivazioni della Cassazione. Ma intanto pesano ancora le analisi della Procura generale, che aveva segnalato la mancanza di verifica, nel no alla revoca del 41 bis pronunciato a dicembre dai giudici di sorveglianza, sui rilievi della difesa di Cospito, in particolare sulla inconsistenza della tesi per cui gli scritti fatti filtrare dall’anarchico quando era all’alta sicurezza potessero effettivamente costituire «direttive criminose concrete per la determinazione a specifiche condotte criminose degli adepti esterni», anziché una libera, seppur violenta, espressione del pensiero. Osservazioni che non sono bastate. Non è bastato che il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo e la Dda di Torino segnalassero, nei pareri inviati a Nordio, che l’alta sicurezza con controllo della corrispondenza potevano rappresentare una soluzione adeguata.
Rossi Albertini dice che dietro i no pronunciati da Nordio il 9 gennaio e ieri dalla Cassazione c’è una scelta politica. Di sicuro rischiano di esserci pesanti conseguenze per la stessa tenuta del 41 bis a un futuro vaglio della Corte europea. Un’eterogenesi dei fini sulla quale, evidentemente, giudici e guardasigilli non hanno fatto calcoli.