PHOTO
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio insieme al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini
A un primo sguardo, si direbbe che banalmente Matteo Salvini ha ottenuto il proprio risarcimento per la rinuncia al ministero della Giustizia. Prima delle Politiche, il leader della Lega aveva provato a lanciare la candidatura di Giulia Bongiorno come guardasigilli, ma si era dovuto arrendere presto alla “vittoria” di Nordio. In realtà, con l’elezione di Fabio Pinelli, laico indicato dal Carroccio ma apprezzato anche dalla magistratura progressista per il proprio equilibrio, è soprattutto l’attuale ministro della Giustizia che vede rafforzata la propria posizione. Perché uno dei due partiti che nei giorni scorsi hanno chiesto a Nordio maggiore prudenza sulle intercettazioni e sulle altre riforme si trova adesso, seppur indirettamente, in prima linea nella dialettica con le toghe.
Attraverso il nuovo vicepresidente del Csm, il primo che provenga da una indicazione del centrodestra, Salvini potrà verificare la fatica del confronto con la magistratura associata su temi come la separazione delle carriere, ma anche sull’attuazione di quei criteri “meritocratici” introdotti, con la riforma Cartabia del Csm, per le valutazioni e le nomine dei magistrati. Nordio sarà meno “solo”, meno esposto al vento delle critiche di Anm e stampa “avversa”. La parte della maggioranza che meno sembra disposta a rischiare per lui sarà costretta a condividerne le battaglie. E forse l’intero centrodestra potrà compiere, con l’avvio della nuova consiliatura di Palazzo dei Marescialli, un bagno di realismo sui problemi della giustizia: che non possono essere liquidati col sacrificio di un ministro.
C’è un altro risvolto, nel voto di ieri, ed è la sconfitta della magistratura progressista, che ha sostenuto Roberto Romboli, il laico indicato dal Pd, e che ha dovuto assistere al sorpasso delle toghe “moderate”, cioè di Magistratura indipendente, schieratasi per Pinelli. Sembra l’abituale schermaglia fra due correnti in perenne contrapposizione, ma per il centrodestra di governo conta soprattutto la prospettiva che un fronte non trascurabile della magistratura, composto da Area, Md e Unicost, possa diventare, dopo il voto di ieri, ancor più guardingo sulla politica giudiziaria. E anche qui, l’esasperarsi delle tensioni potrà sì complicare il cammino delle riforme, inasprire i toni del confronto sull’attuazione della legge Cartabia, ma il punto di caduta non cambia: Nordio apparirà sempre meno come un paradossale “battitore libero”, come la controparte solitaria dei magistrati. Sarà sempre più chiaro chela dialettica fra toghe e politica non è un fatto personale ma un nodo ancora irrisolto.
Il che, certo, accresce a dismisura il coefficiente di difficoltà per Pinelli. Il quale ha però un vantaggio: nulla, nella consiliatura che lo vede vicepresidente, sarà come prima. Anche riguardo alla supremazia della magistratura nel rapporto fra poteri, destinata a diventare un ricordo.