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Da quando è stata introdotta, per volere del governo Conte 2, la norma che prevede una pena da 1 a 4 anni per chi introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all'interno di un istituto penitenziario, è aumentato lo smercio dei telefonini. Il proibizionismo e il panpenalismo non solo non hanno fatto da deterrente, ma hanno aumentato i profitti del commercio illegale.
Appare un paradosso, ma non lo è. Ad offrire una chiave di lettura è Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia Penitenziaria: «Da quando l'introduzione e il possesso di telefonini in carcere costituisce reato, ne circolano molti di più. Questo perché ne è pressoché raddoppiato il prezzo di smercio, facendo aumentare i profitti e gli interessi per le organizzazioni criminali che ne organizzano e gestiscono i traffici», spiega il sindacalista.
Nel provvedimento del 2020, voluto dall'allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per contrastare il crescente flusso di telefonini che si tenta di far entrare nelle carceri, è stato per la prima volta punito sia chi, dall'esterno, cerca di introdurre un telefono in carcere sia il detenuto che lo possiede. Quest'ultimo caso, fino ad allora, era trattato come illecito disciplinare e sanzionato all'interno dell'istituto. Con il decreto sicurezza approvato il 5 ottobre del 2020, è diventato un vero e proprio reato previsto dal nuovo articolo 391-ter del codice penale. Come prevedibile, non ha risolto nulla. Anzi, come ha ben spiegato De Fazio, il traffico dei cellulari è diventato ancora più redditizio.
Non esistono dati ufficiali, ma fonti interne parlano di 3.606 cellulari sequestrati nel 2023. Gli ultimi dati ufficiali riguardano invece i primi 9 mesi del 2020: 1.761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri. Questi numeri confermano che il decreto Bonafede, nato con l'intento di scoraggiare il flusso di telefonini che si tenta di far entrare nelle carceri, è stato del tutto fallimentare.
Soluzioni? Come sempre, è la liberalizzazione la risposta. L'associazione Antigone, da anni, in particolare a seguito dell'emergenza Covid, si è battuta affinché ci sia un intervento legislativo che aumenti sia il numero che la durata delle telefonate, e che soprattutto garantisca uniformità tra tutti gli istituti penitenziari sul territorio.
Un'occasione persa si è avuta durante il governo Draghi, quando come ministra della Giustizia c'era Marta Cartabia. La liberalizzazione delle telefonate rientrava tra le proposte della commissione presieduta da Marco Ruotolo (ordinario di Diritto costituzionale nell'Università Roma Tre) voluta dalla guardasigilli. Tra le linee guida c'era appunto la “liberalizzazione” delle telefonate per i detenuti appartenenti al circuito di media sicurezza qualora non vi siano «particolari esigenze cautelari, per ragioni processuali o legate alla pericolosità».
In particolare, la proposta prevedeva la possibilità di acquistare al sopravvitto apparecchi mobili «configurati in maniera idonea e funzionale con le dovute precauzioni operative (senza scheda e con la possibilità di chiamare solo i numeri autorizzati) per evitare qualsiasi forma di utilizzo indebito». Per cui il detenuto sarebbe libero di utilizzare l'apparecchio nei tempi e con le modalità indicate dall'Amministrazione (es. solo nella camera di pernottamento). «Ciò – si legge nella Relazione depositata inutilmente due anni fa – consentirebbe di alleggerire il sistema con evidenti benefici per coloro (e non sono pochi) che, non avendo disponibilità economiche, potrebbero chiamare gratuitamente avvalendosi delle video-chiamate con Skype o simili applicazioni, come già sta avvenendo». La proposta avrebbe potuto risolvere anche l'annoso problema, legato alle difficoltà di verifica dell'intestazione dell'utenza telefonica, soprattutto per i detenuti stranieri. Le videochiamate potrebbero essere effettuate con i cellulari di recente acquistati dall'Amministrazione (3.200) o nelle sale attrezzate e videosorvegliate, già predisposte in diversi istituti, secondo le esigenze organizzative interne di ciascuno di questi.
L'attuale ministro della Giustizia Nordio cosa ha fatto? Il decreto carcere, convertito in legge quest'estate, ha avuto l'intento di rispondere alla richiesta di un maggiore accesso alle telefonate, proveniente sia dal mondo carcerario che dalla società civile. Tuttavia, la nuova disposizione non chiarisce la questione e genera confusione. Vediamo perché. La norma prevede che, entro sei mesi, un decreto modifichi il regolamento di esecuzione per aumentare il numero di telefonate mensili da quattro a sei. Tuttavia, questa concessione appare insufficiente, limitandosi ad aggiungere solo due telefonate in più al mese. Inoltre, non si capisce perché sia necessario attendere una modifica regolamentare, quando la normativa primaria potrebbe intervenire subito, come già accaduto con l'art. 2 quinquies della Legge n. 70/2020, che aveva agito in situazioni di urgenza.
Nel frattempo, fino all'adozione del nuovo decreto, è possibile autorizzare telefonate oltre i limiti attuali, come previsto dall'art. 39 comma 2 del Regolamento di esecuzione. Ma resta poco chiaro se ci si riferisca alle telefonate “ordinarie” (fino a sei al mese) o a quelle “straordinarie”, il cui numero sarebbe lasciato alla discrezionalità delle autorità competenti. Per ora, tutto è come prima, con il risultato dell'aumento del traffico illegale di telefoni cellulari.