Sono onorato, lieto di essere avvocato – e lo sono tuttora – e di partecipare a questo incontro. Che è un segno estremamente importante. Il mio è l’orgoglio dell’avvocato e del cittadino per un incontro che si batte per la difesa dei diritti fondamentali e contro l’autoritarismo privo di logica che segna questo disegno di legge.

Cercherò di essere estremamente rapido perché so che molti devono parlare, ma questo disegno di legge si giudica prima di tutto dal vestito. Dalla complessità e dalla disorganicità. Dalla mancanza di una relazione introduttiva, quasi come se fosse la vergogna di riassumere quello che è contenuto nel disegno di legge. Che poi si snoda in tutta una elencazione di novità.

C’è il rischio che il sovraffollamento diventi l’etichetta della invivibilità del meccanismo di pan- penalizzazione e pan- carcerizzazione. È ignorato completamente, questo problema del sovraffollamento, di cui altri hanno parlato in molto più esperto di me. Il disegno di legge non tocca nulla per quanto riguarda depenalizzazione e interventi migliorativi per rendere il carcere più umano. In questo senso è fondamentale il discorso del dovere di contenere la violenza, che purtroppo diventa l’unica via di fuga a un certo momento da questa realtà per chi vi è costretto, senza violare la dignità e l’integrità della persona. E senza un discorso di proporzione, un discorso cioè vendicativo a carattere collettivo rispetto a ciò che capita nel carcere. La risposta penale alla resistenza passiva non risolve, certamente, il sovraffollamento. Di fatto, cancella ogni possibile riferimento a un trattamento individuale e alla libertà di disobbedienza civile, che è uno dei residui di libertà fondamentale che rimane anche nel carcere. Io credo che questo discorso viene sottolineato ancora di più dalla equivalenza proposta tra i detenuti e i migranti. Stessa categoria di soggetti, allargando ad entrambi l’applicazione dell’articolo 4 bis, con una evidente sproporzione tra quelle che sono le ipotesi di reati di violenza e di terrorismo e quella che è la disobbedienza civile di una resistenza passiva.

Questo cosa vuol dire? Che fallisce definitivamente, anzi si sanziona ufficialmente, la fine del trattamento individualizzato, finalizzato al reinserimento e alla risocializzazione. Sto parlando di Costituzione e di valori fondamentali previsti dall’articolo 27 della Costituzione.

Scompare il principio di proporzionalità tra pena e gravità del fatto, che è un criterio che vale per tutti, dice la Corte Costituzionale. Il legislatore quando fa le leggi, il giudice quando le applica, l’amministrazione quando si comporta in conseguenza. Questo vale anche per la custodia cautelare, che è eccessiva e che è in contrasto col principio della presunzione di non colpevolezza: lo ha detto addirittura il procuratore generale della Cassazione, invitando a una maggior cautela nell’uso di questo discorso. In realtà la custodia cautelare troppo spesso diventa una sorta di anticipazione di pena, della quale la politica – di entrambe le parti, destra e sinistra – si occupa soprattutto in chiave strumentale quando deve protestare contro iniziative che toccano qualcuno dell’altra parte. E allora la restrizione della libertà personale diventa una vera e propria tortura, per una cosiddetta legittima difesa collettiva, che è quella della sicurezza intesa dal provvedimento di cui stiamo discutendo.

Cito un esempio emblematico, in questo senso, l’ultima sentenza della Corte costituzionale che ha segnato l’importanza di un residuo di libertà, tra virgolette – il termine è sgradevole anche se l’ha usato la Corte costituzionale –: il diritto all’affettività in carcere, e tutti i problemi che ne derivano e che ne discendono. Io credo che su questo siano d’accordo tutti, sia sull’appello a un impegno che sia non solo dell’Esecutivo, viste le difficoltà note di ottenere delle leggi che non seguano certi binari, sia su un problema di inerzia dello Stato, anche nelle sue strutture operative, e di mancato accoglimento di quelle segnalazioni, sempre più forti, della Corte costituzionale. La sentenza sull’affettività è del febbraio di quest’anno: non mi pare che si sia verificato nulla.

Io credo che il carcere soffra di un’aria di sonnolenza e di indifferenza che è cominciata già all’epoca degli Stati generali del carcere, che erano stati gestiti da una maggioranza politica diversa da quella attuale. Allora forse

c’è stata troppa accademia o troppa ampiezza del campo, e in pratica si è rimasti, tranne poche cose, a quella che è la flagrante violazione di tutti gli articoli della Costituzione: diritto al lavoro, il 2 e il 3, diritti inviolabili, pari dignità sociale e rimozione degli ostacoli, libertà personale e sue basi che non possono essere compromesse, trattamento non contrario al senso di umanità – e c’è evoluta la bellezza di 75 anni per ricordarsi che il trattamento del carcere deve essere umano e personalizzato –, e poi il diritto alla salute.

La via del provvedimento è duplice – ed è brutto, questo. Prima la soglia pan- penalistica: tutto si risolve con le norme penali. Poi, la soglia pan- carceristica: tutto si risolve comunque con un’unica sanzione, il carcere. C’è la tendenza, è stato detto molto bene da chi mi ha preceduto, a costruire la pena non più sul reato in sé, sul fatto – si punisce il fatto determinato dalla condotta di una persona – ma sul soggetto del fatto, l’autore, che si punisce per le sue caratteristiche. I tedeschi parlano di tätertyp, il tipo di autore: è il cosiddetto diritto penale d’autore che guarda alla persona e la punisce soprattutto per ciò che è, non per ciò che fa.

Non mi dilungo, perché ho già preso troppo tempo, su quali sono i difetti principali di questo discorso: non c’è proporzionalità delle pene di nuova produzione o di nuova formulazione rispetto ai criteri che erano stati usati in precedenza. C’è un automatismo disseminato a piene mani: divieto di prevalenza delle attenuanti, obbligo di automatismo quando c’è il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti. Si mette in crisi il principio di personalità della responsabilità penale che prescrive l’articolo 27 della Costituzione. Una concezione che esprime un autoritarismo che comincia a destare molta preoccupazione, con riferimento al rapporto tra autorità pubblica, pubblico ufficiale e cittadino – cittadino o persona che aspira a diventarlo.

Le conseguenze sono note: il principio di umanizzazione della pena sta scomparendo. E a questo punto, io vorrei ricordare proprio quello che è stato detto prima, e concludo: che l’individuo diventa persona attraverso l’articolo 2 della Costituzione, i diritti inviolabili nelle formazioni in cui si svolge la sua personalità. E il carcere è una delle prime formazioni sociali, coattiva, in cui si svolge la personalità.

Allora, a questo punto, la domanda che sorge spontanea è: ma è ancora compatibile una pena che è la privazione della libertà personale, non per contenere la violenza, ma come pena fondamentale del sistema carcerario? È ancora compatibile con lo sviluppo della persona, dell’individuo nelle formazioni sociali, tra cui il carcere? Guardate, la persona è caratterizzata da tre componenti fondamentali: la relazione con gli altri, a cominciare dalla relazione affettiva, per proseguire con tutte le altre relazioni; il contesto temporale della propria esperienza vitale, cioè il mio passato, e il progetto del mio futuro, la speranza di un futuro, e la mancanza di questa speranza è alla base di molti, troppi, drammatici suicidi in carcere, soprattutto in questi giorni; e infine un contesto spaziale che in carcere è solo virtuale e che non è reale, la dimensione di spazio dell’individuo è soltanto virtuale. Basta pensare a quella locuzione buffa, che però è consolidata, l’ora d’aria, nella quale si condensa il problema della perdita della dimensione spaziale e della perdita della dimensione temporale. L’ora d’aria. Ecco, io credo che l’obiettivo di sicurezza sociale che è proposto da questo pacchetto di sicurezza è in realtà un obiettivo di sicurezza di tipo autoritario, che dimentica la prima chiave per la risoluzione della sicurezza sociale: l’andare incontro al diverso e alle sue limitazioni per aiutarlo a superarle.

Vi ringrazio per questa riunione, sono orgoglioso di quello che è stato detto e che si va dicendo, sempre. Grazie.