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Agosto 2019: il Governo di coalizione Lega-M5S naviga ormai da qualche tempo in acque poco tranquille. L’asse Conte-Salvini si è incrinato e sul governo gialloverde aleggiano nubi di tempesta che porteranno al suo scioglimento il mese successivo. Negli stessi giorni l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, seguendo il suo indirizzo politico dei porti chiusi ai migranti, omette il soccorso e nega lo sbarco a 147 naufraghi. Cinque anni dopo, in seguito alla concessione dell’autorizzazione a procedere, i pm di Palermo depositano la requisitoria in cui chiedono per l’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti una pena detentiva pari a sei anni. A questa va aggiunta la richiesta di risarcimento di quasi un milione di euro avanzata dalle parti civili.
LE ACCUSE
Due sono i reati contestati a Salvini: sequestro di persona plurimo a danno anche di minori ex art. 605 comma 1, comma 2 n. 2 e comma 3 c.p. e rifiuto d’atti d’ufficio ex art. 328 comma 1 c.p., ciò in base all’art. 96 Cost. per il quale i Ministri, anche se cessati dalla loro carica, possono essere sottoposti a processo per reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.
All’ex Ministro dell’Interno sono inoltre attribuite numerose violazioni del diritto internazionale come le Convenzioni UNCLOS, SOLAS e SAR da cui derivano precisi obblighi per i paesi firmatari. Queste, tra le altre, stabiliscono la regola che bisogna dar terra ai naufraghi, principio secolare di diritto naturale poi trasposto nel diritto positivo internazionale e nazionale per il valore dei beni coinvolti quali vita, salute e libertà.
IL DIRITTO DEL MARE
Nello specifico, dalle Convenzioni SOLAS e SAR derivano l’obbligo per il comandante di una nave di prestare soccorso a chi si trovi in pericolo o difficoltà in mare, e il correlativo obbligo per gli Stati di cooperare al fine di sollevare il comandante della nave soccorritrice quanto prima dai propri oneri tramite l’indicazione di un POS (Place of safety). A questo proposito va puntualizzato che, come stabilito dalla Sentenza n. 6626 del 16.01.2020 emessa dalla Corte di Cassazione, solo la terraferma può essere considerata come POS. Una nave, a meno che non risponda a determinati requisiti, non può quindi considerarsi come posto sicuro anche solo temporaneo. Anzi, la permanenza coatta a bordo di una nave si qualifica come trattenimento ai sensi della Direttiva 33/2013 art. 2 lettera H).
Inoltre, le linee guida della Risoluzione MSC 167-78 fissano il principio per cui un migrante naufrago in mare è da considerarsi unicamente come una persona da salvare, ai fini del salvataggio non rilevano né il motivo per cui si trova in situazione di pericolo né la sua nazionalità.
Per facilitare la cooperazione tra gli Stati sono state stabilite delle cosiddette Zone SAR (Search and rescue), zone di controllo affidate agli stati senza essere direttamente collegate ai confini. Esse sono da considerarsi quali zone di responsabilità. Lo stato a cui sono attribuite è ritenuto responsabile delle operazioni di salvataggio per eventuali situazioni di difficoltà o pericolo che si concretizzino al loro interno.
IL BRACCIO DI FERRO
Il primo agosto la nave Open Arms, di proprietà della Ong spagnola Proactive Open Arms, raccoglie 55 persone in zona SAR libica e lo segnala alle autorità libiche, maltesi e italiane. Il medesimo giorno a Roma l’allora Ministro dell’Interno Salvini, il Ministro dei Trasporti Toninelli e il Ministro degli Esteri Trenta firmano il decreto interministeriale che, sulla scorta del Decreto Sicurezza bis divenuto legge il 5 agosto, vieta alla nave battente bandiera spagnola di entrare in acque territoriali italiane.
Il giorno seguente Open Arms trae in salvo altre 69 persone in zona SAR Malta, richiede la designazione di un POS alle autorità italiane e maltesi senza però avere riscontro positivo. Il 3 agosto vengono fatte sbarcare e condotte a terra due donne in stato di gravidanza e un’altra donna. In assenza della designazione di un POS, Open Arms riceve un’altra richiesta d’intervento e il 9 agosto accoglie a bordo altre 39 persone. Tra l’11 e il 14 agosto tredici persone vengono fatte sbarcare date le loro condizioni di salute divenute critiche.
Alla vigilia di ferragosto, grazie alla sospensione del decreto amministrativo da parte del TAR del Lazio a seguito di ricorso presentato dai legali della Ong, Open Arms entra in acque territoriali italiane e si ferma al largo di Lampedusa. Lo stesso giorno Salvini firma un altro decreto per fermare la nave, che non viene emesso per mancanza della firma del Ministro Trenta.
Dati i numerosi appelli fatti a Salvini dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e le pressioni provenienti da diversi Stati europei, il 18 agosto viene permesso a 27 minorenni di scendere a terra. Due giorni dopo a seguito di un’ispezione della nave il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ordina il sequestro della nave e il conseguente sbarco di tutte le persone a bordo.
LE PROSSIME TAPPE
La parola passa ora alla difesa che avrà tempo fino al 18 ottobre per preparare le arringhe difensive. Nel frattempo Salvini ha dichiarato che non patteggerà e sfrutterà tutti e tre i gradi di giudizio. Il leader del Carroccio ha inoltre affermato che in caso di condanna rimarrà in carica.