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Intercettazioni da parte di agenzie investigative straniere di cittadini italiani sul nostro territorio senza l’autorizzazione della autorità giudiziaria italiana: è questa l’ipotesi emersa nel complicato dossier sui criptofonini e sul materiale da essi estratto durante indagini transnazionali con ricadute anche su indagati del nostro Paese.
Come abbiamo già raccontato, i criptofonini sono smartphone anti-intercettazione che usano metodi di crittografia per proteggere tutti i sistemi di comunicazione. Di per sé sono legali ma nella maggior parte dei casi una maggiore “blindatura” è utilizzata per scopi illegali. E infatti sono stati oggetto di una operazione internazionale sul narcotraffico condotta dalle autorità francesi, belghe ed olandesi che sono state in grado di raccogliere il materiale contenuto in migliaia di criptofonini e i relativi risultati sono stati messi a disposizione di organi investigativi di altri Paesi, quali l’Italia, che hanno provveduto ad assumere i provvedimenti cautelari conseguenti.
Fonti legali ci fanno sapere che non è esclusa la possibilità, in base agli elementi che stanno emergendo nella vasta inchiesta, che persone italiane siano state appunto ascoltate mentre erano in Italia dalle autorità francesi senza alcuna autorizzazione dei nostri magistrati. «Tutto ciò - ci spiega il professor Giorgio Spangher - ha coinvolto la giurisdizione che si è misurata sia nei vari Stati, con le legislazioni domestiche, sia coinvolgendo le istituzioni giudiziarie sovranazionali». Infatti «in Inghilterra sono stati avviati ricorsi alla Cedu, in relazione alle misure cautelari al cui fondamento erano posti gli atti delle indagini francesi; in Francia è stata coinvolta la Corte Costituzionale, oltre alla Corte di Cassazione; i giudici di Berlino hanno proposto il ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia».
E in Italia? Il 2 novembre 2023 due sentenze della Sesta sezione penale Cassazione hanno annullato con rinvio provvedimenti dei Tribunali di Milano e Reggio Calabria con cui si confermavano la custodia cautelare in carcere di due soggetti dediti al traffico internazionale di stupefacenti, arrestati proprio a seguito del materiale ottenuto dalle procure italiane tramite Oei (Ordine europeo di indagine). Il giorno dopo, ossia il 3 dello stesso mese, la Terza sezione penale di Piazza Cavour ha invece rimesso la questione alla Sezioni Unite. Stessa cosa avvenuta il 15 gennaio quando a rimettere alle Su è stata la sesta sezione. E molto probabilmente le SU il prossimo 29 febbraio si pronunceranno su tutti i provvedimenti che sono giunti alla loro attenzione.
Quello che traspare è che all’interno della Cassazione ci sia una sorta di spaccatura su un tema alquanto delicato, come evidenziato dai due rinvii con quesiti diversi. Come sottolinea sempre Spangher, sono in gioco due profili: «Le esigenze di sicurezza collettiva - in relazione a gravi fenomeni di criminalità organizzata - e la tutela dei diritti soggettivi di garanzia». La questione è rilevante perché attiene alle garanzie di acquisizione e utilizzazione delle prove, a maggior ragione se provenienti da una autorità estera.
Secondo altre fonti legali, poi, tutte le chat criptate e gli annessi algoritmi di decodifica acquisiti in Francia sono finite in un enorme software olandese e sarebbe stata l’intelligenza artificiale a decodificare e a riordinare le chat. Quali sono i problemi sottesi? Per Spangher «la situazione è inedita: ci troviamo dinanzi ad organizzazioni criminali internazionali che utilizzano nuove tecnologie, sollevando così molte riflessioni di acquisizione della prova nei vari sistemi nazionali e su come queste diverse legislazioni possano dialogare e scambiarsi materiale probatorio senza ledere i diritti degli indagati».
Volendo andare più nel dettaglio i temi sollevati dal giurista sono: «Le modalità delle investigazioni compiute in Francia così da condizionare la natura dei suoi esiti. Si pensi al solo fatto che per una delle due piattaforme sulla quale sono passati i messaggi è stato posto il segreto di Stato; la fiducia da riporre nell’AI nel suo compito di decriptazione; la legittimazione e la tutela delle richieste degli organi investigativi italiani alla Francia effettuati attraverso l’ordine ad indagine europeo; la tipologia degli atti trasmessi agli organi investigativi italiani in relazione alle diverse garanzie che vi sono sottese nella nostra disciplina processuale. Ora addirittura si ipotizza una attività di indagine su suolo italiano non autorizzata».
Per l’emerito di procedura penale le domanda allora da porsi sono: «Come sono state acquisite le prove oltralpe e come possiamo sindacare l’attività francese o olandese? Ad esempio i due Paesi si possono opporre alla richiesta italiana sulla chiave di decriptazione dei messaggi? In pratica, la giurisdizione italiana può accogliere acriticamente quello che proviene dalle investigazioni di un altro Paese?». Per Spangher «soprattutto se c’è in gioco la libertà personale, io difensore devo potermi confrontare con gli elementi dell’accusa e capire se sono stati acquisiti rispettando le garanzie del nostro sistema processuale».