La notizia è stata diffusa in anteprima dalla Reuters e ha fatto il giro del mondo in pochi minuti, suscitando alcune perplessità per il particolare momento in cui si inserisce e per la gravità dei fatti contestati. Il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, è coinvolto in una indagine relativa ad una «presunta condotta sessuale inappropriata».

Ad accusare Khan sarebbe una ex dipendente della Corte penale internazionale. Il procuratore avrebbe tentato di abusare della donna durante un viaggio di lavoro. Nell’inchiesta sarebbero due gli episodi contestati e si fa riferimento alle pressioni esercitate dal magistrato – non andate a buon fine -, affinché la presunta vittima ritirasse la denuncia. L’organo di governo della Corte penale internazionale, competente in casi del genere, si appresterebbe ad avviare un’indagine esterna e indipendente nei confronti di Khan, il quale, negli ultimi due anni, è stato particolarmente attivo su due fronti molto caldi: Ucraina e Medio Oriente. Una fonte interpellata dalla Reuters ha affermato che la presunta vittima degli abusi «non ha fiducia nell’indipendenza dell’organismo interno della Corte», in quanto il nuovo presidente ha fatto parte in passato dello staff di Karim Khan.

Corvi all’Aja?

Negli uffici della città olandese, dove ha sede il Tribunale che indaga sui crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e crimine di aggressione l’imbarazzo è tanto. Nelle scorse settimane ha iniziato a circolare un documento interno, anonimo e senza data, distribuito agli Stati membri della Corte penale internazionale in cui Khan viene invitato a dimettersi temporaneamente dall’incarico di procuratore. Il documento non poteva non arrivare sulla scrivania dello stesso Khan. La vicenda che lo riguarda da vicino ha preso corpo già ad ottobre. Un mese fa le accuse di cattiva condotta sono state comunicate al diretto interessato dall’organo direttivo della Corte penale internazionale. Khan ha subito respinto ogni addebito. «Non c’è verità – ha commentato - nelle notizie sulla cattiva condotta che mi viene attribuita. Ho lavorato in contesti diversi per trent’anni e non c’è mai stata una denuncia presentata contro di me».

È stato proprio l’avvocato scozzese, che oggi rappresenta l’accusa nella Cpi, a chiedere all’organo di controllo interno del Tribunale dell’Aja l’avvio delle verifiche sulle notizie che lo riguardano con l’esigenza di dissipare la disinformazione che ha avvolto il caso. In un lungo post su X, Khan si è difeso facendo riferimento alla grande esposizione alla quale è sottoposta negli ultimi anni la Cpi: «Ho sempre incoraggiato e incoraggerò tutte le vittime di molestie a far sentire la propria voce e a denunciare certi episodi, ovunque si verifichino. Questo è un momento in cui io e la Corte penale internazionale siamo sottoposti a una vasta gamma di attacchi e minacce. Oggi come non mai è importante che la Cpi e l’ufficio del procuratore si concentrino sul loro lavoro per rendere giustizia alle vittime di crimini internazionali e dimostrare attraverso una serie di azioni che tutte le vite meritano la protezione del diritto internazionale. Continuerò a fare ogni sforzo, nel miglior modo possibile, per rispettare il mandato affidatomi indipendentemente dalle azioni intraprese contro di me».

Più di qualcuno avanza sospetti sul momento in cui è arrivata la denuncia sulla «presunta condotta sessuale inappropriata». Prove preconfezionate per indurre il procuratore dell’Aja ad abbandonare il proprio incarico, dopo aver agito contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa d’Israele, Yoav Gallant, con la richiesta d’arresto nei loro confronti, nella primavera scorsa, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità? La Corte non si è ancora espressa sull’iniziativa intrapresa dal Prosecutor della Cpi, che vede coinvolti pure tre esponenti di Hamas, compreso Yahya Sinwar ucciso dall’esercito israeliano lo scorso 16 ottobre. Bibi Netanyahu si definì a maggio “disgustato” per l’attività svolta da Khan.

Gli elementi per alimentare le trame dei complottisti sono serviti come un assist quasi a porta vuota. Con l’aggiunta di un altro particolare. Alla fine di ottobre uno dei giudici chiamati a decidere sulla richiesta di mandato di arresto di Netanyahu ha deciso di abbandonare il collegio giudicante. Si tratta della rumena Iulia Motoc che ha chiesto di essere sostituita per motivi di salute. Al suo posto la giudice slovena Beti Hohler. I tempi per la decisione sulle richieste dei mandati d’arresto sono di circa tre-quattro mesi, abbondantemente superati nell’inchiesta sui protagonisti della guerra in Medio Oriente.

Il recente avvicendamento dei giudici aumenterà di sicuro il ritardo sulla decisione riguardante Netanyahu e Gallant. Infine, non va tralasciato un altro aspetto. Davanti alla Corte penale internazionale sono state presentate alcune memorie del tipo “Amicus Curiae” in cui si offrono diverse argomentazioni volte ad approfondire ulteriori elementi sul fascicolo delle incriminazioni riguardanti la guerra sulla Striscia di Gaza. Di qui l’ulteriore dilatazione dei tempi alla quale stiamo assistendo con lo scoppio, da ultimo, dello scandalo che coinvolge il procuratore Karim Khan.