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TOMMASO CALDERONE, POLITICO
Si dice che la tenacia di Forza Italia nel sostenere posizioni garantiste in materia penale vada attribuita in particolare al “pacchetto di mischia” costituito, con il viceministro Francesco Paolo Sisto, da parlamentari che sono anche avvocati di lungo corso e che presidiano le commissioni di Senato e, soprattutto, Camera. Da Pierantonio Zanettin, capogruppo Giustizia a Palazzo Madama, a Tommaso Calderone, suo omologo a Montecitorio, che è affiancato dai colleghi ( di partito e nella libera professione) Annarita Patriarca, Pietro Pittalis e, da alcune settimane, anche da Enrico Costa, tornato con gli azzurri e a propria volta penalista. Essere avvocati, d’altronde, comporta una certa maggiore consapevolezze non solo del peso delle garanzie nel penale ma – se si è praticato almeno un po’ l’altro versante della giustizia – anche dell’importanza della tutela civilistica.
Si spiega così, forse, il fatto che proprio i forzisti si siano voluti esporre, all’interno della maggioranza, sulla norma, inserita in Manovra, che trasformerebbe il contributo unificato in una sorta di barriera “blocca- processi”: Forza Italia ha depositato in commissione Bilancio alla Camera, entro il termine previsto delle 16 di lunedì scorso, un emendamento soppressivo, che punta a cancellare l’attuale articolo 105 della legge di Bilancio. Si tratta della misura che, com’è noto, introduce un nuovo articolo 307- bis 76 nel codice di procedura civile e che sancisce l’estinzione di qualsiasi causa (con le sole eccezioni dei procedimenti cautelari e possessori), o l’improcedibilità nei casi di domanda riconvenzionale, chiamata in causa, impugnazione incidentale.
È la barriera fiscale frapposta tra il cittadino e l’accesso alla giustizia che ha suscitato sconcerto innanzitutto nel mondo forense, consapevole dei sacrifici già ordinariamente sostenuti dai difensori, con la rinuncia, frequentissima, a qualsiasi anticipo sull’onorario, accettata pur di venire incontro ai clienti non coperti dal patrocinio a spese dello Stato ma comunque in difficoltà economica, e costretti perciò a rinviare il versamento del contributo unificato. Con la norma inserita, al momento, nel testo della Manovra, quei cittadini si troverebbero di fronte a una insensata alternativa: pagare o rinunciare alla tutela dei propri diritti. Chi, come i citati parlamentari- avvocati di FI, ha frequentato, prima delle aule legislative, quelle dei tribunali, si rende conto di quanto discriminatorio sarebbe un provvedimento simile. Ed ecco l’iniziativa assunta dai deputati che rappresentato il partito di Tajani in commissione Giustizia, ai quali si sono uniti parlamentari forzisti di altre commissioni ma comunque provenienti dall’avvocatura, come il foggiano Giandiego Gatta.
Ora si tratta di capire se il governo, e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in particolare, accetterà di rinunciare agli introiti che, secondo gli uffici di via XX Settembre, la tassatività del versamento preliminare porterebbe all’erario. E si dovrà verificare anche la posizione di Fratelli d’Italia e Lega, nelle cui file i parlamentari avvocati non mancano, e che dovranno decidere se sostenere la posizione dei colleghi berlusconiani.
Una scelta su cui peserà anche l’iniziativa assunta, in parallelo, dalle forze di opposizione. Dal Pd e dal Movimento 5 Stelle, innanzitutto: entrambi i partiti hanno depositato emendamenti soppressivi dell’articolo 105 del ddl Bilancio. Analoghi a quelli di Calderone e degli altri deputati di FI. La vicepresidente dem di Palazzo Madama Anna Rossomando ha tenuto a segnalare l’iniziativa nel proprio intervento al congresso dell’Unione nazionale Camere civili, celebrato a Napoli la scorsa settimana: «Si tratta di una materia che consideriamo particolarmente delicata». Detto fatto: il “soppressivo” targato Pd c’è, ovviamente presentato in commissione Bilancio alla Camera su impulso della responsabile Giustizia del Nazareno Debora Serracchiani e del capogruppo in commissione, e primo firmatario della modifica, Federico Gianassi.
Identica iniziativa è stata assunta anche dal Movimento 5 Stelle: a contestare la trasformazione del contributo unificato in una pregiudiziale rispetto all’esercizio del «diritto costituzionale alla tutela in giudizio», sono innanzitutto le capogruppo pentastellate nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato, rispettivamente Valentina D’Orso e Ada Lopreiato. Le quali hanno ricordato come la stessa Consulta sia «più volte intervenuta sul tema, già a partire da una sentenza del 1961 e poi con altri pronunciamenti, l’ultimo nel 2022». Il giudice delle leggi, fanno notare le capigruppo Giustizia del Movimento, «ha reiteratamente dichiarato l’illegittimità di norme che condizionano l’esercizio dell’azione giudiziaria: è indiscutibile la prevalenza della necessità di garantire al cittadino l’accesso alla tutela giurisdizionale rispetto all’interesse fiscale, che in ogni caso è tutelato».
Si disegna così un quadro politicamente impegnativo, per il governo e per chi, a cominciare dal Mef, ha voluto inserire la “barriera fiscale” nella giustizia civile: se l’emendamento soppressivo di Forza Italia non fosse condiviso dagli alleati (Calderone già assicura di volerlo indicare fra i «segnalati», cioè fra le proposte di modifica irrinunciabili) e, soprattutto, approvato, Pd e 5S potrebbero a giusta ragione rivendicare di essersi spesi per bloccare la norma e di aver dovuto però constatare l’ostinazione della maggioranza. Il governo che punta a ridurre le tasse sarebbe facilmente accusato di averne voluta creare una, odiosa, per limitare le cause civili. Non esattamente uno “spot” efficace, in un Paese in cui i tempi di risposta dei Tribunali, proprio in ambito civilistico, sono il più delle volte intergenerazionali.