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LO SCENARIO
A PAGIN A 2 IL PREMIER FESTEGGIA IL RECOVERY ATTACCANDO IL LEADER DI IV: «OBIETTIVI POCO CHIARI»
La verifica ci sarà. E' quanto annunciato ieri da Conte e del resto era inevitabile dopo l'offensiva di Renzi in Parlamento, con un discorso che in tempi normali avrebbe implicato una crisi immediata. Conte tiene le sue carte coperte ma tra le righe lancia una frecciata precisa: «Certo ci sono delle istanze molto critiche.
Dobbiamo capire cosa nascondono, quali obiettivi». Parole che non possono certo rassenerare anche in minima parte il clima con Renzi e che lasciano anzi sospettare che Conte intenda seguire la rotta imboccata con il colloquio informale prima rilasciato al Corriere della Sera e poi smentito. Un frontale con il capo di Iv, accusato di accampare critiche di merito per raggiungere obiettivi personali, in termini di potere o di visibilità di partito.
Se Conte insisterà su questa strada la situazione sarà oltre la soglia della criticità: a un millimetro dal punto di rottura. Perché svicolare dal merito, poco importa se messo davvero in campo da Renzi solo per raggiungere altri obiettivi, vorrebbe dire arrivare a uno scontro molto meno visibile ma non meno violento con i due leader che hanno oggi in mano le sorti del governo: Zingaretti e Di Maio. La scelta di bersagliare l'ex segretario del Pd serve anche a questo: a cercare di dividere il descamisado di Rignano, che non ha nulla da perdere, dai due capipartito, che si giocano in questa partita molto di più. Né Renzi né Di Maio si fidano di Renzi. Però non si fidano più nemmeno di Conte, e non è affatto detto che arrivato il momento di scegliere opteranno per il quadrato intorno a un inquilino di palazzo Chigi che considerano quasi irrecuperabile. Perché i discorsi che circolano in area Nazareno questo dicono: che forse è inutile sperare in un cambio di passo dell'avvocato Conte perché l'uomo non conosce altri ritmi e non è capace di governare se non secondo un registro che sia Zingaretti che Di Maio considerano non più accettabile. A differenza di Renzi, che di Conte vuole liberarsi, entrambi preferirebbero una resa, l'accettazione di un ruolo ridimensionato ma sempre a palazzo Chigi.
Questa è anche l'opzione di gran lunga preferita, se non addirittura unica, del Colle.
Resta da vedere se Conte è disposto e capace di accettare il ridimensionamento e i toni di ieri non sono un buon segnale in questa direzione.
Certo, l' “avvocato del popolo” sa di tornare da Bruxelles più forte. Il Next Generation Eu è sbloccato e questo cambia, se non tutto, molto. Lui è tra i padri del Fondo europeo, il primo a proporlo, l'artefice della lettera collettiva che ha smosso Bruxelles. E' il leader che si è acquistato la fiducia di Angela Merkel determinando la vittoria alla guida della Commissione europea. Il premier di cui oggi si fidano Bruxelles e Berlino. Sostituirlo nella fase d'avvio, delicatissima, del Recovery Plan italiano è di fatto quasi impossibile.
D'altro lato, però, il risultato del Consiglio europeo lo costringe a correre, cioè di adeguarsi a un passo che detesta. Conte è l'uomo del rinvio, dell'allungamento all'infinito dei tempi, della fiducia, spesso ben riposta, nelle virtù terapeutiche del tempo nello stemperare ogni tensione. Se potesse farebbe così anche stavolta. Non può. Unavolta superato il blocco, Merkel e von der Leyen vogliono prendere la rincorsa. Mirano a ottenere l'assenso dei 27 Parlamenti nazionali al Recovery Fund in due mesi. L'Italia non può farsi trovare in stato di precrisi permanente, con un braccio di ferro in corso su un Piano italiano non ancora approvato. I Parlamenti dei Paesi frugali non perderebbero l'occasione per affondare la lama.
Dunque bisogna chiudere la partita prima, nei tempi brevi e convulsi che Conte detesta.
La bozza di Recovery Plan è solo una mano, pur se quasi decisiva, in questa partita.
La trattativa con Renzi, che Conte è convinto debba svolgersi su un piano diverso da quella del merito intorno a quegli «obiettivi nascosti» che secondo lui animano la guerra del leader di Iv, sembra il fronte principale ma non lo è. Il vero tavolo decisivo è quello a cui siederanno, più o meno metaforicamente, Conte, Zingaretti e Di Maio. Se il premier riuscirà a trovare un accordo con loro, la crisi verrà in qualche modo evitata. Altrimenti sarà appunto non evitabile.