Forse, grazie ad un recente intervento della Cassazione, è arrivato il momento di mettere la parola fine ad un altro Moloch della prevenzione.

Si discute da sempre, infatti, su quali siano i limiti entro i quali i terzi interessati della confisca possano difendere le proprie ragioni e, in particolare, se essi possano interloquire anche sulla posizione del proposto o, invece, debbano limitarsi a escludere il presupposto della fittizietà della intestazione del bene che si intende confiscare.

Ovviamente, l’orientamento giurisprudenziale dominante è estremamente restrittivo e non consente al terzo, invocando la mancanza di interesse concreto a dedurre, di contestare i presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, come ad esempio la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene e dei redditi impiegati.

Nel processo penale, l’interesse a dedurre è costruito intorno al concetto sostanzialistico di “utilità” e, quindi, sull’esistenza di un pregiudizio che la parte, difendendosi, intenda rimuovere.

Non così in materia di prevenzione, nella quale detto interesse si raccorda alla ripartizione dell’onere della prova: il terzo è gravato di un mero onere di allegazione di fatti contrari alla “tesi accusatoria”, che, per lui, sarebbe limitata alla mera contestazione di fittizietà della intestazione del bene, che perciò diverrebbe ambito e limite del confronto con la parte pubblica. L’interesse del terzo, dunque, sarebbe circoscritto alla restituzione del bene, ma non alla contestazione degli altri presupposti della misura di prevenzione diversi dalla indagine sulla effettiva titolarità.

Per ridurre l’ambito delle difese del terzo, poi, la giurisprudenza ha anche elaborato percorsi creativi. Così, si è ritenuto che, ove il terzo spiegasse difese comuni con il proposto, egli finirebbe persino per avvalorare il sospetto di contiguità e, con esso, quello di interposizione.

In sostanza, il terzo dovrebbe essere una quasi muto spettatore di un rito all’esito del quale potrebbe tuttavia essere spogliato dell’intero suo patrimonio.

Ed usiamo la parola “rito” non a caso, dal momento che la prevenzione assume qui, forse più che in altri ambiti, una dimensione sacra, per la quale il “profano” non è ammesso a partecipare ad una celebrazione misterica ed ordalica che pure lo riguarda così tragicamente ed intimamente. Egli, sostanzialmente, non potrebbe difendersi e, se pure lo facesse (magari per colmare le lacune difensive del proposto), sarebbe guardato e, soprattutto, giudicato con maggior sospetto.

Una situazione paradossale, degna del Sant’Uffizio, specie per quelle categorie di terzi (e non sono poche) per le quali vige la presunzione di fittizietà della intestazione patrimoniale.

Per questi, infatti, la giurisdizione parte dal presupposto che i loro beni siano in realtà di proprietà del proposto – limitando quindi di molto la possibilità di allegare prove contrarie dotate di forza tale da vincere la presunzione legale – ed inibisce di articolare difese sugli altri presupposti della confisca. Ma oggi, dicevamo in esordio, soffia (eppure soffia…) un vento nuovo.

La Quinta Sezione Penale della Cassazione, con ordinanza n. 43160 del 27/ 11/ 2024, ha investito le Sezioni Unite proprio del quesito relativo all'ambito delle difese spendibili dal terzo interessato nel procedimento di prevenzione.

Esiste, infatti, un altro orientamento giurisprudenziale, allo stato minoritario (ma che la Sezione remittente sembra preferire) che evidenzia la necessità che tutte le parti del procedimento di prevenzione, in ossequio ai costituti del giusto processo, della giurisprudenza convenzionale e della nuova Direttiva 2024/ 1260 Ue, godano di una tutela giurisdizionale effettiva, nel senso di poter contestare efficacemente i presupposti applicativi del provvedimento di confisca.

L’interesse a dedurre, quindi, dovrebbe potersi estendere dalla titolarità del bene alla sua origine e destinazione, fino alla pericolosità sociale del proposto, in ossequio al ripetuto insegnamento della Cedu in merito alla tutela della posizione del soggetto terzo coinvolto in procedure di confisca.

Questo è l’auspicio minimo, che si spera le Sezioni Unite vogliano cogliere, perché la confisca di prevenzione sia preceduta, anche per il terzo, da un procedimento garantito ed effettivamente partecipato e non, come spesso ancora accade, da una sorta di messa pre- conciliare, nella quale il celebrante, unico in contatto con il Divino, parla una lingua incomprensibile al popolo, al quale pure, significativamente, volge le spalle…