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Un’inchiesta complessa che ha visto l’intrecciarsi di più filoni d’indagine e un processo complesso che si è tutto giocato nel dibattimento (86 udienze) non potevano che concludersi con una sentenza altrettanto complessa - depositata oggi - con la quale si motivano in 700 pagine le decisioni del Tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone. Che nel dicembre 2023 ha condannato quasi tutti gli imputati per alcuni reati, assolvendoli per altri. Cinque anni e 6 mesi di reclusione, più interdizione perpetua dei pubblici uffici e 8 mila di multa, è la condanna comminata al cardinale Giovanni Angelo Becciu per truffa e peculato al termine del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, incentrato sulla compravendita del Palazzo di Londra e su altri filoni di indagine.
Per i giudici l’uso illecito di fondi della Santa Sede da parte del cardinale Becciu c’è stato anche se non c’era «finalità di lucro». «Al contempo, la responsabilità di quest’ultimo non può essere messa in discussione neppure in ragione di un ulteriore argomento che egli ha invece inteso valorizzare in più circostanze: la rivendicata assenza di utilità in capo a S.E.R. Becciu», si legge ancora nella sentenza.
Nella sentenza sono innanzitutto evidenziate le tante novità legislative introdotte nella legislazione vaticana dal 2010 ad oggi per adeguarsi «ai modelli internazionali e alle best practices», finalizzati a una maggiore trasparenza interna, per scongiurare che «i delitti siano impunemente commessi» da chi opera nello Stato e nella Santa Sede. I principi del giusto processo «sono pienamente rispettati nell’ordinamento penale vaticano», si legge nelle motivazioni. «Non rientrano invece in questa previsione - si legge ancora - altre questioni, che pure sono state indicate dai difensori come condizioni essenziali del giusto processo alla stregua, si ripete, di normative di altri Stati».
Il Tribunale risponde quindi punto per punto alle accuse di violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo spiegando che «l’ordinamento vaticano riconosce il principio del giusto processo, quello della presunzione di innocenza e il diritto di difesa, che sono anzi espressamente previsti dalle norme vigenti».
Il Tribunale, si legge nella sentenza, «nella convinzione che il contraddittorio tra le parti è il metodo migliore per raggiungere la verità processuale ed anche, per quanto possibile, per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi, ha sempre cercato, sfruttando al massimo gli spazi lasciati all’interprete dal quadro normativo vigente, di adottare interpretazioni e prassi operative che garantissero l’effettività del contraddittorio, assicurando il più ampio spazio alle parti, e in specie alle Difese». Viene inoltre dimostrata la legittimità della decisione del Promotore di Giustizia di non depositare tutti i messaggi whatsapp a sua disposizione in quanto connessi ad altre ipotesi di reato e ad altri filoni di indagine.
«Leggeremo con attenzione la sentenza che rispettiamo così come rispettiamo tutte le sentenze. La motivazione che attendevamo da tempo è piuttosto lunga e sarà oggetto di studio e di approfondimento. Certamente, per le conclusioni a cui approda, contrasta con quanto emerso nel corso del processo che ha dimostrato l’assoluta innocenza del Cardinale Becciu», commentano i suoi difensori Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo.