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Gli emendamenti alla legge di Bilancio inseriti dal Governo e riguardanti la giustizia lasciano perplessa e, al tempo stesso, preoccupano l’avvocatura. L’anticipazione al prossimo 28 febbraio della riforma civile, senza attendere il 30 giugno 2023, con l’entrata in vigore delle nuove norme sul processo civile, nello specifico il rito ordinario di cognizione e quello sommario, ha provocato una levata di scudi. A partire dal Consiglio nazionale forense (Cnf) e dall’Organismo congressuale forense (Ocf).
In una nota congiunta la presidente del Cnf, Maria Masi, ed il presidente dell’Ocf, Mario Scialla, esprimono “sconcerto” per «la decisione del Governo di anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni più rilevanti della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023». La decisione dell’esecutivo di presentare il provvedimento che mette mano all’entrata in vigore della riforma civile è una forzatura.
«L’emendamento governativo alla legge di Bilancio – affermano Masi e Scialla -, con l’anticipazione delle principali novità del rito civile, stride peraltro con la decisione di posticipare, invece, la riforma del processo penale e soprattutto appare del tutto irragionevole e disfunzionale visto il caos in cui getterà cancellerie, magistrati e avvocati». L’avvocatura istituzionale e l’organismo politico degli avvocati sottolineano che in questa fase bruciare le tappe è deleterio.
«Innovazioni di forte impatto – aggiungono i presidenti del Cnf e dell’Ocf -, come la nuova fase introduttiva del giudizio di cognizione, infatti, richiedono negli operatori il giusto livello di approfondimento e consolidamento che non sarà possibile con un’anticipazione di quattro mesi rispetto alla data originaria di entrata in vigore. Questo tipo di considerazioni, d’altronde, hanno indotto opportunamente il Governo ad operare la scelta opposta in riferimento al processo penale. Non si comprende in nessun modo, dunque, la scelta, vista la consapevolezza mostrata circa il già grave affanno della giustizia civile, definita prima causa di sofferenza dello Stato, con i ritardi dei processi che costano il 2% di Pil».
Masi e Scialla non nascondono, infine, preoccupazioni in merito ai risvolti che gli emendamenti governativi potrebbero avere sul diritto di difesa. «E neppure ignora il Governo – concludono - le criticità della riforma, di cui si appresta ad accelerare l’entrata in vigore, sotto il profilo del diritto di difesa. Criticità che aveva annunciato di voler risolvere, rispondendo all’auspicio dell’avvocatura di un intervento normativo sugli aspetti più spinosi della riforma della giustizia civile, che, così come è, non è in grado di contrarre i tempi medi dei processi, con un inutile sacrificio delle garanzie di difesa e del contraddittorio, e senza una vera incidenza sugli obiettivi individuati dal Pnrr».
Il presidente dell’Unione nazionale Camere civili, Antonio de Notaristefani, è molto scettico. «L’effetto principale dell’emendamento del Governo – commenta - è quello di anticipare la data di applicazione delle norme dettate in tema di giudizio di primo grado e di appello. Per quest’ultimo, credo che nessuno si straccerà le vesti, anche se pare inconsueto ancorare la disciplina di una impugnazione alla data in cui essa viene proposta, e non a quella in cui viene depositata la sentenza: significa consentire a ciascuno di scegliersi la disciplina che gli piace di più. Molto diverso è il discorso per il giudizio di primo grado, dove da stracciarsi le vesti ce ne è, eccome: più o meno tutti gli esperti concordano che quella disciplina è dannosa piuttosto che inutile, e forse il differimento al 30 giugno 2023 nascondeva la consapevolezza dello stesso legislatore delegato della necessità di una pausa di riflessione, magari nella speranza di qualche intervento di controriforma. Perché, bisogna dirlo, era curioso che si introducesse una disciplina al dichiarato scopo di ridurre in tempi brevi e in maniera massiccia arretrato e tempi dei processi, e poi se ne rimandasse la efficacia di tanti mesi. Il sospetto è che qualcuno ci abbia messo al cospetto degli impegni che erano stati presi».
Il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Giampaolo Di Marco, considera l’emendamento del Governo «una proposta deleteria, che rischia di gettare nel caos il funzionamento del processo civile italiano». «È bene ricordare – afferma Di Marco - che la legge delega di riforma del processo civile è stata approvata in tempi da record, sulla scorta dell'esigenza di rispettare gli obbiettivi del Pnrr, così come anche il provvedimento attuativo è stato predisposto in tempi contingentati, sempre sulla scorta della necessità di rispettare i tempi del Recovery fund. Stupisce ora questa accelerazione».
Serpeggia preoccupazione pure nell’Aiga per «l'ennesimo intervento sulla riforma n. 149/2022 del rito processuale civile, emendamento alla legge di bilancio, che prevede l’anticipazione di entrata in vigore di parte del D.lgs n. 149/2022». «Oltre che ingiustificato nella sostanza – sostiene il presidente dell’Aiga, Francesco Perchinunno -, viola il principio di gradualità, che avrebbe dovuto animare l’applicazione concreta della riforma e consentire, a tutti gli operatori del diritto, un’assimilazione progressiva delle nuove regole. Principio che, invece, viene immotivatamente accantonato gravando gli operatori di oneri ulteriori e gli utenti del sistema nuove incertezze. Chiediamo che l’emendamento venga ritirato e lanciamo un appello al Governo, affinché si lavori ad una controriforma che mette al centro l’efficienza del sistema giustizia».