L’oralità è l’essenza del rito penale. Con questa affermazione chi scrive concludeva una riflessione pubblicata su queste pagine e relativa alla deriva cartolare per il contraddittorio in appello. La riforma Cartabia promuoveva – analogamente a quanto già previsto per il giudizio in Cassazione dal Dl 18 del 2020 (convertito nella legge 27 del 2020) e poi dal cosiddetto Dl Ristori 2 ( il n. 137 del 2020, convertito nella legge 176 dello stesso anno) – un contenimento del contraddittorio in appello mediante l’art. 23 del Dl 149/ 2020 (il cosiddetto “Ristori bis”) che, ai commi da 1 a 6, contemplava una serie di disposizioni per la trattazione dei giudizi penali di secondo grado, la “cartolarizzazione” del processo, appunto.

Se già allora erano state espresse perplessità sul binomio impugnazioni/cartolarità, l’approvazione da parte del governo, il 24 giugno scorso, del decreto Infrastrutture, riguardante anche la giustizia penale, lascia ancora più perplessi.

Facciamo chiarezza. Il decreto, per ciò che concerne il processo, interviene sugli articoli 610 (“Atti preliminari”) e 611 (“Procedimento”) del nostro codice di rito. Obiettivo: rendere il giudizio penale in Cassazione – a loro dire – più efficiente. A partire dal 1° luglio 2024 il ricorso presentato alla Suprema corte, una volta superato il primo vaglio sull’ammissibilità, viene deciso in camera di consiglio, senza, dunque, la presenza né del procuratore generale né della difesa, fatto salvo il disposto dell’articolo 611 cpp. L'articolo 610 viene modificato al suo comma 5, la cui formulazione attuale prevede che, almeno 30 giorni prima dell'udienza, la cancelleria dà avviso al pg e ai difensori, indicando “se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio”.

La norma viene modificata sostituendo questa ultima parte con le seguenti parole: “che il ricorso sarà deciso in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, salvo il disposto dell’articolo 611”. Ne discende che il ricorso in Cassazione verrà deciso, di regola, in camera di consiglio e senza le parti (non più in udienza), salvo quanto previsto dal 611 cpp. Dopo questo periodo, il medesimo comma 5 viene integrato con un'ulteriore previsione, ai sensi della quale «nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’articolo 127 (Procedimento in camera di consiglio con presenza delle parti) il termine è ridotto ad almeno venti giorni prima dell’udienza».

Laddove, quindi, il ricorso viene trattato in camera di consiglio con comparizione delle parti, il termine è ridotto ad almeno venti giorni prima dell’udienza. Contestualmente a tale modifica, il comma 1- quinquies dell'articolo 611 cpp viene soppresso.

L'art. 611 cpp, a seguire, viene integrato al suo comma 1, mediante la previsione per cui, nei procedimenti da trattare in camera di consiglio con comparizione delle parti ' i termini per presentare motivi nuovi e memorie sono ridotti a dieci giorni e per presentare memorie di replica a tre giorni'.

Ne deriva che è modificato anche il primo periodo del comma 1- ter dell'articolo per quanto concerne le richieste di trattazione in pubblica udienza o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti. Il primo periodo viene sostituito dalla previsione secondo cui le predette richieste ' sono irrevocabili e sono presentate alla cancelleria dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell'articolo 613 c. p. p. entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza ovvero di quindici giorni liberi prima dell’udienza nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’articolo 127'.

La domanda che sorge spontanea, a fronte di tutto quanto fin qui ricordato, è se questa ennesima chiusura, quasi ermetica, del procedimento apporti effettivamente una miglioria al nostro sistema: pare rivelarsi l’ennesima lacunosa e nebulosa riforma del sistema giudiziario, riforma che erode un ulteriore pezzo di territorio al cittadino non avvezzo al meccanismo e in secondo luogo all’Avvocato, il quale viene privato della possibilità di esercitare appieno la sua funzione. Una deriva troppo pericolosa che alimenta il senso di frustrazione in chi vive le aule di giustizia.