È la prima volta in almeno 20 anni, tranne la parentesi di Ottaviano Del Turco come abbiamo raccontato sul Dubbio (e infatti è stato vittima del fuoco amico), che la Commissione parlamentare antimafia cerca di far luce sull’attività investigativa di Paolo Borsellino sugli affari della mafia con le grandi imprese e ciò che potrebbe aver appurato relativamente alla procura di Palermo quando affermò alla sorella di Falcone – leggasi verbale al Csm del 1992 - di aver scoperto «qualcosa di terribile». Siamo al paradosso. Finché le Commissioni antimafia si occupavano delle “entità” e non della mafia e delle collusioni, andavano benissimo.

Ora, a leggere un incredibile editoriale di Marco Travaglio su Il Fatto, sono dei «delinquenti», colpevoli, come Chiara Colosimo, di voler approfondire la vicenda del dossier mafia- appalti e quindi degli ultimi atti di indagine svolti da Borsellino. Della mafia, quindi, non bisogna assolutamente parlarne quando si affronta la strage di Via D’Amelio. Altrimenti si è dei criminali.

Bisogna ringraziare sempre Travaglio, quando definisce «tragicomico» parlare di mafia- appalti come movente delle stragi. Grazie al direttore de Il Fatto, veniamo a sapere che Borsellino era un comico, invece di essere un serio e meticoloso magistrato. Il 6 luglio del 1992, a poco più di una settimana dalla strage, Borsellino disse allo scrittore Luca Rossi – recentemente confermato da quest’ultimo stesso in commissione antimafia che stava seguendo le indagini sull’omicidio di Falcone e che aveva un’ipotesi. Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione d’appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando. Evidentemente, seguendo l’argomentazione di Travaglio, il giudice stritolato in Via D’Amelio doveva darsi all’ippica.

Queste parole di Borsellino, in realtà, trovano un altro incredibile riscontro per comprendere appieno la sua affermazione. Sia lui sia Falcone avevano delle idee ben chiare sull’omicidio del maresciallo Giuliano Guazzelli e del parlamentare democristiano Salvo Lima. A rivelarlo è stato l’allora sostituto procuratore Vittorio Teresi. Parliamo di un verbale di assunzione di informazioni del 7 dicembre 1992, in cui viene sentito dal pubblico ministero Fausto Cardella della procura di Caltanissetta. Il verbale sarà acquisito per la prima volta dalla Corte d’Appello di Palermo per il processo Trattativa conclusosi con la piena assoluzione degli ex Ros. «Insieme a Paolo Borsellino, seguivo le indagini relative all’omicidio del maresciallo Guazzelli – racconta Teresi innanzi al pm di Caltanissetta-; a questo proposito riferisco di quanto ho appreso da Paolo Borsellino: il maresciallo Guazzelli sarebbe stato il referente dei Ros e in particolare del generale Subranni nella provincia di Agrigento. Per questa sua qualità il maresciallo sarebbe stato un giorno avvicinato da Siino Angelo e da Cascio Rosario, nei confronti dei quali il Ros stava sviluppando un’indagine, al fine di indurlo ad attenuare la loro posizione nell’inchiesta».

Teresi prosegue: «Il maresciallo Guazzelli non solo avrebbe rifiutato di interporre suoi buoni uffici presso il Ros, ma addirittura avrebbe trattato in così malo modo il Siino e il Cascio, che il primo, uscito dalla casa del Guazzelli, si sarebbe sentito male». Ed ecco che Teresi spiega cosa gli raccontò Borsellino, ovvero che «andato a vuoto questo primo tentativo, il Siino si sarebbe rivolto all’onorevole Lima affinché questi intervenisse sul procuratore Giammanco tramite l’onorevole D’Acquisto al medesimo fine».

Non solo. «Borsellino – continua Teresi – però aggiunse di aver commentato queste notizie con Giovanni Falcone e che anche lui riteneva possibile che potessero avere una rilevanza, non solo ai fini della spiegazione dell’omicidio Guazzelli ma anche di quello dell’onorevole Lima». Sintetizza Teresi innanzi al pm di Caltanissetta il 7 dicembre 1992: «In sostanza secondo l’opinione concorde di Paolo e Giovanni, l’onorevole Lima non sarebbe stato in grado o, peggio, non avrebbe voluto influire sulla procura di Palermo per alleggerire la posizione di Siino ( tant’è che questi fu arrestato)». Attenzione, secondo la ricostruzione dell’avvocato Fabio Trizzino in Commissione antimafia, ma anche quella riportata nelle motivazioni della sentenza d’appello sulla trattativa, questa vicenda potrebbe essere stata la confidenza, anche se generica, che Borsellino fece all’attuale senatore grillino e commissario dell’antimafia Roberto Scarpinato. Ed è incredibile che ancora ci si domandi del perché si sia posta la questione di opportunità sulla presenza dell’ex procuratore. Così come comincia ad essere singolare che si definisca «tragicomico» affermare che la questione del dossier mafia- appalti sia il movente principale, quando a stabilirlo è stata una sfilza di giudici, in merito a tutti i processi sulla strage di Capaci e Via D’Amelio. Chi ha paura di questa Commissione antimafia?