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La sentenza del processo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin nell’aula del tribunale di Venezia, Italia - 3 Dicembre 2024 - Cronaca (foto da frame video Pool Rai/LaPresse) The sentencing in the trial of Filippo Turetta for the murder of Giulia Cecchettin in the courtroom in Venice, Italy - Dec. 3, 2024 - News (photo from video frame Pool Rai/LaPresse)
Non è possibile «desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio», che le 75 coltellate sferrate da Filippo Turetta a Giulia Cecchettin l’11 novembre 2023 siano state «frutto di crudeltà», quanto, piuttosto, di «inesperienza». A scriverlo sono i giudici della Corte d’Assise di Venezia, che lo scorso 3 dicembre hanno condannato all’ergastolo il giovane per l’omicidio dell’ex fidanzata, escludendo l’aggravante della crudeltà e dello stalking.
Secondo i giudici, infatti, «non si ritiene che sia stato, per Turetta, un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima». Parole che vengono scritte sulla base della «videoregistrazione dell’ultima fase dell’azione omicidiaria», quanto Turetta «ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca», in 20 minuti totali. Una dinamica «certamente efferata», affermano i giudici, ma per la quale non c’è prova che «sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato» di infliggerle dolore.
Quella modalità dipenderebbe più dal fatto che «Turetta non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e “pulito”, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”». Turetta si sarebbe fermato infatti soltanto «quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: “mi ha fatto troppa impressione”, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva, come anche registrata dalle videocamere in Fossò - continua la sentenza -, non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva».
Parole che hanno subito suscitato polemica politica, a prescindere dalla lettera della sentenza e dalle regole del processo, con l’immancabile tweet del vicepremier Matteo Salvini: sui suoi canali social è infatti apparsa l’immancabile immagine a commento dei titoli, con la didascalia «la “giustizia” italiana purtroppo non finisce mai di stupirci».
Nella sentenza, però, molto spazio viene dedicato anche alla lettura culturale del gesto omicida, andando oltre la mera dinamica e inserendo lo stesso nel contesto di una visione arcaica e patriarcale del rapporto uomo-donna. I giudici hanno infatti sottolineato che Turetta non merita le attenuanti generiche, «alla luce della efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita». Una spietata analisi culturale del gesto di Turetta, che, scrivono i giudici, non ha nemmeno tentato di chiedere scusa alla famiglia, evitando qualsiasi tipo di gesto riparativo.
Turetta ha mantenuto «la lucidità» anche dopo aver massacrato l’ex fidanzata, agendo in maniera lineare: «Spegnendo il cellulare proprio e della vittima, recandosi direttamente a occultare il cadavere e avviandosi a una tenace fuga attraverso l’Austria e la Germania per i successivi sette giorni. Tenacia e lucidità manifestate fino a mezz’ora prima del suo arresto, quando ha provveduto a cancellare l’intero contenuto del suo telefono», per poi consegnarsi alla polizia tedesca solo dopo essere rimasto senza benzina, senza denaro e senza cibo. Tutte scelte strategiche che danno «contezza dell’atteggiamento conservativo dell’imputato il quale, più che spinto dal rimorso o dal proposito di consegnarsi alle autorità, mirava evidentemente a contenere e minimizzare le conseguenze delle proprie abiette azioni. Obiettivo che ha poi continuato a perseguire anche nel corso dell’interrogatorio», quando ha fatto scena muta sul contenuto del dispositivo negando all’autorità giudiziaria la password.
I giudici hanno riconosciuto l’atteggiamento ossessivo e persecutorio di Turetta, negando, però, l’aggravante dello stalking. Ciò non perché il suo atteggiamento non fosse assimilabile alla persecuzione, ma perché Giulia Cecchettin, certamente «vittima delle condotte oggettivamente moleste, prepotenti e vessatorie del Turetta», affermano i giudici, «non aveva paura di lui: ed è proprio per questo motivo che era stata proprio lei a dare appuntamento all’ex fidanzato, proponendogli di accompagnarla a fare acquisti in vista della laurea», giornata che però si è conclusa con il suo omicidio.
«Dalla lettura delle chat tra i due ragazzi, perfino quelle degli ultimi giorni - continua la sentenza -, si coglie perfettamente come Giulia, pur avendo capito che Turetta era ossessionato da lei, fosse del tutto inconsapevole della pericolosità dello stesso e non provasse alcun timore di lui: nei vari messaggi la ragazza si rivolge a lui con toni arrabbiati, forse esasperati per l’insistenza e per la ostinata impermeabilità del Turetta di fronte a ogni suo tentativo di affrancazione da quelle che ella stessa chiaramente percepiva essere pretese insensate». E non solo gli stretti familiari, ma anche le amiche di Giulia non avrebbero mai percepito in lei «uno stato d’animo idoneo a configurare quello stato di ansia grave e perdurante richiesto dalla norma incriminatrice o un qualsivoglia timore per la propria incolumità».
La giovane vittima era dunque «ben consapevole sia della insensatezza delle pretese del Turetta sia del carattere manipolatorio delle affermazioni autolesionistiche di costui e si è visto come ella non si fosse piegata a tali pretese: e proprio per questo è stata uccisa. Giulia era semmai intimorita per lo stato di salute del Turetta», continua la sentenza, proprio perché era una ragazza buona. Turetta è arrivato all’appuntamento con Giulia Cecchettin, il giorno dell’omicidio, «già pronto per l’aggressione». Non un gesto improvviso, dunque, ma un piano «attuato pedissequamente passo dopo passo per quattro giorni fino all’efferata azione conclusiva».