Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’autocertificazione prodotta da un detenuto è sufficiente a dimostrare un rapporto di convivenza more uxorio, garantendo così il diritto ai colloqui con il partner. La decisione, emessa dalla Quinta Sezione Penale, annulla una precedente ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (Gip) di Castrovillari che aveva negato a Carmine Alfano, in custodia cautelare, la possibilità di incontrare la compagna Maria Ruotolo. La motivazione? La semplice autocertificazione e un certificato di residenza sono prove adeguate, salvo il rischio di sanzioni penali in caso di dichiarazioni false.

Arrestato nel 2024 per accuse non specificate nel provvedimento, aveva chiesto di poter incontrare in carcere la sua compagna. Per dimostrare la convivenza, i suoi avvocati – Giuseppe Della Monica e Francesco Matrone – avevano presentato un’autocertificazione firmata dalla Ruotolo (datata 28 agosto 2024) e un certificato anagrafico che attestava la residenza condivisa a Scafati, oltre alla presenza della coppia nella stessa abitazione al momento dell’arresto a Cariati. Il Gip di Castrovillari aveva però respinto la richiesta, sostenendo che «il ritrovamento dell’Alfano in compagnia della Ruotolo non è indice univoco» di un rapporto stabile, potendo trattarsi di una relazione «occasionale».

La Cassazione, con la sentenza numero 7825, ha ribaltato questa decisione richiamando due principi cardine. L’autocertificazione è prova sufficiente: come previsto dalla circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria n. 544994/ 1998, l’autocertificazione (ai sensi della legge 15/ 1968) è valida per attestare la convivenza. La sentenza sottolinea che spetta alle autorità verificare eventuali falsità, ma non può essere richiesta una «prova ulteriore» rispetto a quanto previsto dalla legge. Parità tra convivenze e matrimonio: la legge 76/ 2016 sulle unioni civili equipara i conviventi di fatto ai coniugi in ambito penitenziario. La Cassazione ha ricordato che la nozione di «convivente» include chiunque condivida la vita col detenuto, senza distinzioni di sesso o tipologia di relazione (amicale, lavorativa, o more uxorio).

«Il provvedimento impugnato ha compiuto un errore metodologico», si legge nelle motivazioni. Il Gip non aveva specificato su quali basi concrete dubitasse della documentazione presentata, limitandosi a un generico riferimento a «accertamenti della polizia giudiziaria» privi di dettagli spazio- temporali. Una motivazione «carente» che viola l’articolo 111 della Costituzione, garantendo il diritto a una difesa effettiva. La sentenza precisa che, sebbene l’autocertificazione semplifichi le procedure, chi mente rischia conseguenze gravi. L’articolo 495 del codice penale punisce con fino a due anni di reclusione chi fornisce false attestazioni su qualità personali a un pubblico ufficiale. Un precedente del 2019 (sentenza Farsetta) conferma che dichiarare una convivenza inesistente è reato.

La decisione rafforza i diritti dei detenuti in custodia cautelare, spesso svantaggiati dalla lunghezza dei processi. Il mantenimento delle relazioni affettive è un diritto fondamentale, compresso solo per esigenze di sicurezza. Tuttavia, le carceri potranno effettuare controlli a campione, come previsto dalle circolari, per evitare abusi. Il caso Alfano non solo ribadisce principi già esistenti, ma impone ai giudici di motivare in modo dettagliato eventuali dinieghi. Il rinvio al Gip di Castrovillari (in «diversa persona fisica» ) obbligherà il nuovo giudice a valutare nuovamente i documenti, stavolta senza pregiudizi. In un Paese dove le convivenze di fatto sono in aumento, la Cassazione segna un passo verso una giustizia più inclusiva, riconoscendolo anche per chi è in carcere.