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Il pm di Milano Paolo Storari
Niente perdita di anzianità, ma censura per il pm milanese Paolo Storari, sotto procedimento disciplinare davanti al Csm per aver consegnato i verbali dell’ex avvocato esterno di Eni Piero Amara all’allora consigliere di Palazzo Bachelet Piercamillo Davigo. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, dopo una camera di consiglio durata circa quattro ore, ha assolto il magistrato «per essere rimasti esclusi gli addebiti», dalle accuse di aver tenuto un «comportamento gravemente scorretto» nei confronti dell’allora capo della procura di Milano Francesco Greco e dell’aggiunto Laura Pedio, e da quella di non essersi astenuto nelle indagini relative al procedimento sulle copie degli stessi verbali che vennero consegnati in forma anonima ad alcuni giornalisti.
La procura generale della Cassazione aveva chiesto per Storari la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno, sostenendo la sussistenza di una condotta caratterizzata da «grave negligenza, imprudenza e imperizia». Un comportamento, a dire dell’accusa, «gravemente colposo», che avrebbe provocato «grave danno alle indagini sulla Loggia Ungheria, all’ufficio giudiziario dove lavora e alle persone menzionate dall'avvocato Amara nei verbali».
Storari, per la consegna dei verbali di interrogatorio di Amara a Davigo, è stato assolto in sede penale a Brescia in via definitiva. Dopo il deposito delle motivazioni della sentenza odierna della sezione disciplinare, la difesa di Storari potrà valutare se presentare o meno ricorso davanti alle sezioni unite civili della Cassazione. La sentenza ha però certificato che il comportamento del sostituto all’interno dell’ufficio non è stato valutato come negativo. Una certezza emersa anche dalle motivazioni della sentenza del processo che ha portato alla condanna a 8 mesi di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, i due magistrati che hanno rappresentato l’accusa nel processo Eni- Nigeria e con i quali Storari - difeso dall’avvocato Paolo Della Sala - era entrato in contrasto. Storari aveva infatti consegnato ai colleghi le dichiarazioni di Amara, sottolineando il rischio che il principale teste del processo Eni- Nigeria potesse essere un calunniatore. Ma quelle informazioni non vennero considerate.
Per i giudici di Brescia, tale «riluttanza» sarebbe stata determinata dalla volontà di non «influenzare in senso negativo le sorti» dello stesso processo. E Storari, appunto, che aveva cercato di preservare le regole del “giusto processo”, «era stato tacciato di creare “un clima sfavorevole” all’accusa, in contrasto con lo spirito di colleganza che invece avrebbe dovuto indurlo a “fare squadra”». La sua azione era stata etichettata come «controinchiesta», definita dagli stessi «ciarpame». Ma si trattava di elementi solidi, secondo i giudici di Brescia, e tutt’altro che disordinati, che però «non erano stati in grado di scalfire il muro - o meglio sarebbe dire il “Quadrilatero” - innalzato in procura a salvaguardia del processo “Eni Nigeria”». Un quadrilatero composto, oltre a De Pasquale e Spadaro, stando a quanto si legge in sentenza, dall’allora procuratore Greco e dall’aggiunta Pedio. Con l’intento di salvare il processo Eni- Nigeria, motivo per cui le scoperte fatte da Storari erano d’intralcio. E proprio la frustrazione dettata dall’impotenza di approfondire quanto dichiarato da Amara avrebbe spinto il pm a consegnare i verbali a Davigo, condannato invece a un anno e due mesi per rivelazione di segreto.