«Ai fini della valutazione dei presupposti per il trasferimento d’ufficio, non può essere preso in considerazione il merito delle decisioni adottate dal magistrato nell’esercizio dell’attività giurisdizionale». È per questo motivo che la Prima Commissione del Csm, quella che si occupa delle incompatibilità, ha proposto l’archiviazione dell’esposto dell’avvocata Federica Tartara, che si era vista rigettare un’istanza di legittimo impedimento a ridosso del parto. Il fatto era stato denunciato dalla professionista sul suo profilo Facebook, indignando la politica e gli addetti ai lavori. «Oggi è successa una cosa che ritengo gravissima per la mia professione: avevo udienza penale a Venezia (dove sarebbe dovuta arrivare da Genova, ndr), e avendo il parto previsto tra circa 3 settimane, ho chiesto il rinvio per legittimo impedimento, così come prescritto espressamente dal nostro cpp per le donne in gravidanza. Il giudice (donna) non me lo ha concesso, obbligando il collega che avevo delegato a discutere un processo di cui non conosceva gli atti e condannando gli imputati. Se un giudice non è più sottoposto neppure al codice, dove finiremo? Una donna avvocato non ha neppure il diritto di evitarsi una gravosa trasferta alla 36 settimana di gravidanza?».

A rigettare la richiesta era stata la giudice Ilaria Sichirollo, «sostenendo che vi fossero già stati troppo rinvii e che un legale che sa di non potersi assumere un incarico non deve assumerlo», aveva spiegato Tartara. Ad “assolvere” Sichirollo era stato lo stesso Tribunale di Venezia, che aveva definito la sua decisione «immune da qualsiasi censura» e «conforme alla nota e consolidata giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione». Per la Suprema Corte, infatti, il legittimo impedimento non trova applicazione «nel caso di impedimento già noto all’atto dell’accettazione dell’incarico» e assicura tutela «solo agli impedimenti che sopravvengono dopo la nomina e l’accettazione del mandato difensivo». Il procedimento nel quale era impegnata Tartara aveva avuto inizio l’8 marzo 2022 con la prima udienza, rinviata su richiesta delle parti per consentire le trattative (poi fallite) sulla rimessione della querela. Dopo una serie di rinvii, «si alternavano ben sei difensori», aveva spiegato il presidente Salvatore Laganà, «di cui tre nominati fiduciariamente, che successivamente rinunciavano al mandato, e tre designati di ufficio nel periodo in cui non era operativa la nomina dei difensori di fiducia». L’8 novembre, a pochi giorni dalla discussione fissata per il 12 novembre, è stata dunque nominata l’avvocata Tartara, che il giorno dell’udienza, tramite un sostituto, ha chiesto il rinvio per lo stato di gravidanza, con data per il parto prevista per il 10 dicembre. Richiesta alla quale si sono opposti sia il pm sia il difensore della parte civile. Sichirollo, dunque, «rilevato che l’impedimento del difensore era già esistente e conosciuto al momento dell’accettazione della nomina, avvenuta solo pochi giorni prima della data fissata per l’udienza, richiamati a verbale i principi assolutamente pacifici espressi ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità, rigettava l’istanza e disponeva procedersi alla discussione da parte della difesa, accordando in ogni caso la sospensione dell’udienza e un differimento orario della discussione, concordando con il sostituto difensore l’orario di ripresa dell’udienza». Va aggiunto – aggiungeva Laganà – che l’avvocata Tartara non aveva indicato le ragioni per le quali non avrebbe potuto nominare un sostituto, essendo il difensore esentato da tale onere solo quando l’impedimento sia determinato da circostanze improvvise ed assolutamente imprevedibili, tra le quali non è ricompreso certamente l’avanzato stato di gravidanza. La scelta del giudice di sospendere l’udienza e di accordarsi con il sostituto «in una causa priva di difficoltà e dall’istruttoria molto contenuta, ha comunque garantito il contemperamento delle esigenze di difesa», concludeva la nota.

Il processo riguardava un caso di appropriazione indebita, per la quale i due imputati sono stati condannati a due anni di reclusione e ad un versamento di una provvisionale di 15.000 euro in favore della parte civile. «Di fatto, gli assistiti sono stati privati di un’adeguata assistenza difensiva, minando così i diritti fondamentali della difesa», aveva protestato Tartara. «Ma il punto non è questo - aveva aggiunto -, lascia basiti la decisione da parte di un magistrato che impedisce ad una professionista incinta ciò che è legittimo per legge. Un giudice che dovrebbe attenersi alla Costituzione, e invece qui siamo di fronte ad un atto discriminatorio non solo nei confronti delle donne, ma anche delle libere professioniste». Da qui l’esposto al Csm, che però è stato bocciato dalla Prima Commissione. La pratica verrà discussa l’8 gennaio, dove arriverà con una proposta di archiviazione votata all’unanimità da togati e laici. «La questione su cui si appuntano le censure dell’esponente attiene al merito dei provvedimenti giurisdizionali», si legge nella proposta. «Sul tema è intervenuta anche la giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento alle condizioni necessarie all’integrazione del legittimo impedimento in caso di gravidanza del difensore», scrive la prima Commissione. Pertanto, «fermi restando i rimedi esperibili e i vizi processuali che conseguono in caso di inosservanza delle disposizioni di legge, in difetto di evidenze sintomatiche di una qualche forma di incompatibilità ambientale e/o funzionale, anche solo astrattamente ipotizzabile nei confronti della dottoressa Sichirollo, non vengono in rilievo profili di competenza della Prima Commissione», in base a quanto stabilito dalle circolari. «Rispetto a eventuali residui profili di censura sull’operato del predetto magistrato, l’esposto risulta essere stato trasmesso anche al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, titolare dell’azione disciplinare». La pratica va archiviata, «non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare». Ma le polemiche, a pochi mesi dall’approvazione del ddl sul legittimo impedimento del difensore e il faro acceso proprio sulla condizione delle avvocate in gravidanza, “costrette” a scegliere tra la professione e il diritto a diventare madri, difficilmente finiranno in un cassetto.