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Alla fine l'incontro fra il premier Conte e Armando Siri, sottosegretario di nome ma non di fatto essendo ormai privo di deleghe, c'è stato. Nella notte tra lunedì e martedì, lontano dai riflettori. Non pare che abbia risolto la situazione. Tra Conte e il vicepremier Di Maio sarebbe anzi montata una certa tensione. Il primo cercherebbe infatti una strada obliqua, tale da evitare scontri all'arma bianca. Il secondo pare abbia parlato addirittura di “azzeccagarbugli”. Ieri pomeriggio Conte rinviava a conferenza stampa da destinarsi: «Arriverà quando avremo preso una decisione». Il caso non è chiuso e soprattutto non è fugato lo spettro che alla fine, anche senza che si arrivi a una crisi di governo immediata, provochi una lacerazione insanabile. Una ferita infetta e non guaribile.
Bisogna però mettere bene a fuoco su cosa i soci della maggioranza e il premier stiano contendendo. L'incidente che rischia di affondare il governo si sarebbe potuto evitare con la massima facilità. Il codice etico concordato dal Lega e M5S al momento di far salpare la nave gialloverde afferma infatti che su quel vascello non avrebbero trovato posto persone sotto processo. In concreto: in caso di rinvio a giudizio le dimissioni di Siri sarebbero un atto dovuto al quale la Lega non potrebbe opporsi. L'obiezione per cui non è pensabile lasciare in un posto di potere persone sospette di legami con qualcuno sospetto di avere legami con Cosa nostra in questo caso non ha senso. Privo di deleghe, il sottosegretario è comunque non in condizione di nuocere.
Il problema è la campagna elettorale. Il Movimento ha bisogno di lavare l'onta del voto contro l'autorizzazione a procedere per Salvini prima e non dopo il voto, mentre il rinvio a giudizio di Siri arriverà, eventualmente, dopo quella fatidica data. L'occasione per mettere alle corde un Salvini che sembrava inarrestabile, inoltre, era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. L' “autospensione” a cui sembra mirasse il presidente del consiglio non differisce in nulla da quelle dimissioni con garanzia di rientro in caso di mancato rinvio a giudizio che invoca sin dal primo giorno Di Maio. Ancora più posticcia la differenza tra questo modello di dimissioni, e le “dimissioni a tempo”, altra ipotesi bizzarra spuntata fuori negli ultimi giorni. Dire “a tempo” significa infatti solo dire che se non ci sarà rinvio a giudizio Siri sarà reintegrato, dunque nulla di diverso da quanto Di Maio chiede.
Ma le parole sono diverse e le parole, quando si tratta di propaganda più che di politica, hanno un peso enorme. Dire “sospensione” o meglio “ancora “autosospensione” ( istituto peraltro inesistente nel nostro ordinamento” fa un effetto diverso dal più brutale dimissioni. Proprio per questo Conte sperava che Siri e Salvini potessero accettare la formula zuccherosa e ipocrita. Peccato che per lo stesso motivo Di Maio non possa invece farla passare. In una campagna elettorale che ormai si gioca in larga parte proprio sul caso Siri, Di Maio ha bisogno di una vittoria campale, senza la minima ombra di mediazione. Non solo nei contenuti ma anche nella forma. Devono essere “dimissioni”, senza perifrasi e anzi accompagnate da affermazioni volutamente brusche e ruvide come “l'accompagneremo alla porta” e simili sparate.
E' una tattica comprensibile per un Movimento che il 26 maggio si giocherà moltissimo e che rischia grosso su due fronti: uno stacco di oltre 10 punti rispetto ai soci un tempi di minoranza leghisti e il sorpasso da parte del Pd che sarebbe simbolicamente devastante. Ma è anche un tattica ad altissimo rischio. Le esigenze elettorali dell'M5S infatti non permettono mediazioni di sorta: neppure quelle puramente cosmetiche a cui mira Conte. Ma senza un punto di caduta che permetta almeno di mascherare la resa il rischio di un voto in sede di cdm diventa molto concreto. Per il governo sarebbe la via d'uscita peggiore. Conte dovrebbe ( e anzi probabilmente dovrà) proporre lui le dimissioni. La Lega non lo dimenticherà facilmente. Poi i ministri gialli e quelli verdi si troverebbero gli uni contro gli altri. Prevarrebbero i 5S ma la Lega presenterebbe il conto nei mesi successivi: non facendo cadere apertamente il governo ma bersagliando soci vissuti ormai come nemici in ogni possibile occasione. D'altra parte sarebbero chiamati a votare anche i due ministri tecnici, Tria e Moavero. Neppure la loro scelta sarebbe priva di conseguenze. Se votassero con la Lega, i 5S concluderebbe che il sospetto di asse tra il ministro dell'Economia e i soci/ rivali, già diffuso, è fondato e le conseguenze su un fronte che dire delicato è poco come quello dei rapporti tra M5S e ministro dell'Economia sarebbero inevitabili.
Un po' per calcolo, un po' per inesperienza, i due partiti della maggioranza si stanno giocando sul caso Siri una posta molto più alta di quanto non avrebbero pensato e desiderato all'inizio. Ma per problemi di tenuta elettorale molto più che non di lotta alla corruzione. Il che, in politica, è del tutto legittimo e forse inevitabile: purché lo si sappia.