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Oggi arriva in Corte costituzionale il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Accogliendo la richiesta del procuratore capo Francesco Lo Voi e dell'aggiunto Sergio Colaiocco, mercoledì 31 maggio 2023 il gup di Roma ha deciso di inviare gli atti alla Consulta. Una richiesta finalizzata a sbloccare lo stallo in cui si trova il procedimento. E oggi i giudici, riuniti in Camera di Consiglio ( relatore della causa sarà Stefano Petitti), dovranno valutare la questione.
La decisione è attesa nei prossimi giorni. Imputati sono quattro 007 egiziani: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato. Secondo quanto ricostruito gli imputati avrebbero, tra l’altro, usato «strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente, con cui gli cagionavano numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico- dorsale e degli arti inferiori». I militari non hanno mai comunicato i loro indirizzi, necessari a inviare la notifica del procedimento in corso.
La procura di Roma aveva sollevato la questione di costituzionalità rispetto agli articoli 2, 3, 24, 111, 112, 117 della Costituzione in riferimento all'articolo «420 bis, commi 2 e 3, cpp nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che il giudice procede in assenza dell’imputato, anche quando ritiene altrimenti provato che l’assenza dell’udienza sia dovuta alla mancata assistenza giudiziaria o al rifiuto di cooperazione da parte dello Stato di appartenenza o di residenza dell’imputato e che il giudice procede in assenza dell’imputato anche fuori dei casi di cui ai commi 1 e 2, quando ritiene provato che la mancata conoscenza della pendenza del procedimento dipende dalla mancata assistenza o dal rifiuto di cooperazione da parte dello Stato di appartenenza o di residenza dell’imputato».
Tra i passaggi più critici dell’ordinanza del gup leggiamo il riferimento all’articolo 3 della Costituzione, in cui si censura la situazione di sostanziale immunità imposta all’Italia dallo Stato estero: «La scelta delle Autorità egiziane di sottrarre i propri cittadini alla Giurisdizione italiana per l’accertamento delle responsabilità in ordine a delitti che ledono i diritti inviolabili dell’uomo, è una scelta anti- democratica, autoritaria, che di fatto crea in Italia, Paese che si ispira ai principi democratici e di eguaglianza, una disparità di trattamento rispetto ai cittadini, italiani e ai cittadini stranieri di altri Paesi, che in casi analoghi verrebbero processati». Scrive ancora il dottor Roberto Ranazzi nell'ordinanza: «Di fatto lo Stato egiziano, rifiutando di cooperare con le Autorità italiane, sottrae i propri funzionari alla giurisdizione del giudice italiano, creando una situazione di immunità non riconosciuta da alcuna norma dell'ordinamento internazionale, peraltro con riguardo a delitti che violano i diritti fondamentali dell'uomo universalmente riconosciuti. Tale situazione di immunità determina una inammissibile “zona franca” di impunità per i cittadini- funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani che abbiano subito in quel Paese dei delitti per i quali è riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano in base alle convenzioni internazionali».
Nell’ordinanza si invoca poi il principio di obbligatorietà dell’azione penale: «Anche in questo caso l’immunità degli stranieri ( segnatamente dei cittadini egiziani) rispetto all’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero italiano appare inaccettabile, perché contrasta con i principi di democrazia ed uguaglianza propri del nostro ordinamento costituzionale. Di fatto, l’azione penale, quando vi è il rifiuto delle Autorità straniere di far processare in Italia i propri cittadini, è subordinata al potere esecutivo dello Stato straniero». Quanto agli obblighi internazionali ed alla Convenzione sulla tortura si legge che «tale ultima disposizione della Convenzione non solo è stata ignorata dalle Autorità di Governo e dalle Autorità giudiziarie egiziane, ma è stata “osteggiata” in modo palese. La violazione della Convenzione internazionale sulla tortura da parte dello Stato egiziano (che ha ratificato il trattato) impedisce allo Stato italiano, a sua volta, di osservare la medesima Convenzione, e cioè di processare i presunti autori del delitto di tortura commesso nei confronti di Giulio Regeni». Riguardo infine all’articolo 111 della Costituzione si stigmatizza in modo molto chiaro che «non vi è processo più “ingiusto” di quello che non si può instaurare per volontà di una Autorità di Governo».
Le strade che si aprono potrebbero essere tre: la Consulta rigetta la questione, la accoglie e dichiara l’incostituzionalità della norma, emette una sentenza manipolativa additiva colpendo la disposizione «nella parte in cui non prevede che», con la quale rivede (“manipola”) il contenuto della legge, per evitare di dichiararla incostituzionale ed impedire così la formazione di un vuoto normativo nel sistema. Nel primo caso il processo Regeni non si potrebbe celebrare, negli altri due casi si potrebbe procedere immediatamente. Ma come sottolineato sulla rivista Sistema Penale dalla professoressa Serena Quattrocolo, ordinario di diritto processuale penale nell’Università del Piemonte Orientale, «solo l’eventuale accoglimento della formulata questione di legittimità potrebbe deviare il corso del procedimento dalla pronuncia di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo»