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Claudio Furlan//LaPresse
«Dalle carte di tutto il percorso scolastico di Alessia Pifferi sono evidenti tutti i problemi che aveva a scuola. Problemi seri, ovviamente, che si desumono dalle pagelle e da quanto scritto dagli insegnanti. Visto che Pirfo (Elvezio, psichiatra forense e perito super partes nominato dal Tribunale di Milano, ndr) aveva detto che se ci fossero stati i documenti lui avrebbe potuto e dovuto prenderli in considerazione, io ho chiesto una integrazione di perizia». Alessia Pontenani, avvocato della donna a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia di soli 18 mesi, aveva promesso di poter dimostrare quanto in aula pm, familiari e perito hanno negato. Ovvero che la sua assistita - che per l’accusa è perfettamente capace di intendere e di volere, così come lo era quando lasciò la figlia sola in casa per giorni, provocandone la morte -, è tutt’altro che una persona presente a se stessa. Pontenani ha recuperato le pagelle e gli appunti degli insegnanti che hanno seguito Pifferi, dalle elementari al primo anno di scuole superiori. E dai documenti depositati ieri in Tribunale arriva la conferma che la donna è stata seguita da un’insegnante di sostegno, durante tutta la durata del percorso scolastico. Sostegno infine negato durante il primo anno di scuole superiori.
In quei documenti, le insegnanti hanno scritto, nero su bianco, come l’alunna fosse portatrice di handicap, una difficoltà dimostrata anche dalle continue insufficienze e dalle assenze, che le sono costate anche la bocciatura. L’esatto contrario di quanto affermato da Pirfo nella sua perizia, che pur riconoscendo a Pifferi un disturbo di alessitimia e, dunque, una «mancanza di capacità empatica» e una forma di «dipendenza», ha sostenuto di trovarsi di fronte ad una donna dalla capacità intellettiva «nella normalità» e, dunque, perfettamente capace di intendere e di volere al momento del fatto. Per lo psichiatra, ci sono tratti depressivi, ma si tratta di elementi psicopatologici che «non raggiungono - a suo dire - quel livello di qualità clinica necessario per diagnosticare un disturbo di personalità». La perizia, aveva commentato Pontenani dopo l’udienza dello scorso 4 marzo, «delinea per 120 pagine un quadro tragico. Nelle ultime pagine, però, la signora diventa incredibilmente sana. Questo mi lascia un po’ basita».
A sostenere la disabilità intellettiva della donna non è stata solo la difesa. Le prime a certificarlo sono state le psicologhe del carcere, che hanno sottoposto la donna al test di Wais, in base al quale avrebbe un Quoziente intellettivo pari a 40, quello di una bambina. Un test psicodiagnostico fortemente contestato dall’accusa e che secondo l’analisi di Pirfo risulterebbe «non appropriato» e «parziale», mancando «l’analisi qualitativa» delle risposte. Quel test è però costato caro a quattro psicologhe, ora indagate dal pm Francesco De Tommasi per falso e favoreggiamento, con l’accusa di aver “manipolato” la donna per farla passare come incapace di comprendere le proprie azioni. Un accusa che il pm, lo stesso che chiede la condanna di Pifferi, ha rivolto anche all’avvocato Pontenani, di fatto scatenando la reazione dell’intera avvocatura milanese. D’accordo con le psicologhe è anche il parroco che ha celebrato il matrimonio di Pifferi, che ha scritto una lettera in sua difesa - depositata nel corso del processo -, nella quale la descrive come una bambina fragile e isolata. E c’è poi una consulenza di parte, a firma di Marco Garbarini e Alessandra Bramante, secondo la quale Pifferi avrebbe una «menomazione del funzionamento che da sempre ha evidenziato nella sua vita», tant’è che avrebbe risposto ai test a cui è stata sottoposta «come un disco rotto». Al punto da affermare che «se le sue risposte fossero simulate sarebbero quelle di una persona che ha un dottorato in neuroscienze».
I nuovi documenti depositati da Pontenani, ora, potrebbero avvalorare questa tesi, confermando elementi finora tenacemente negati dalla pubblica accusa. Ma non solo: Pontenani ha scoperto che Pifferi frequentava un istituto professionale per diventare operatrice socio sanitaria, con sbocchi lavorativi nelle Rems. Una circostanza che offre una risposta alla contestazione del pm, secondo cui Pifferi non avrebbe potuto sapere, in condizioni di disabilità intellettiva, cosa fosse una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, consapevolezza che invece aveva dimostrato di fronte ai periti che stavano valutando le sue condizioni. «Nelle carte dell’esame di terza media - spiega l’avvocato - i docenti scrivono addirittura che Pifferi è portatrice di handicap». E nella valutazione di storia gli insegnanti appuntano le sue «difficoltà con il susseguirsi degli eventi». Una incapacità di apprendimento che per la difesa è legata al deficit cognitivo di cui sarebbe portatrice. Insomma, come aveva già spiegato in aula dopo la testimonianza di Pirfo, per Pontenani il processo è tutt’altro che finito. E l’ergastolo - la pena che il pm invoca sin dall’inizio e che sicuramente chiederà ad aprile con la sua requisitoria - non sarebbe così scontato.
Pontenani sta ora cercando un altro documento, quello fondamentale: si tratta del fascicolo sanitario originale di Pifferi, originariamente in possesso del reparto di neuropsichiatria infantile. Fascicolo che sarebbe stato però trasferito nell’archivio centrale del Policlinico. Un certificato fondamentale per dimostrare il suo disturbo, che secondo i consulenti della difesa avrebbe origine sin dall’infanzia.