«Il Csm punta a sospendere una sua consigliera per il fatto di essere indagata, scavalcando la legge che stabilisce che “la mera iscrizione nel registro” degli indagati “non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa”. Ma loro possono tutto». A scriverlo su X è Enrico Costa, deputato di Azione, a proposito del caso di Rosanna Natoli, la laica di centrodestra che ha incontrato una giudice sotto procedimento disciplinare svelando il segreto della camera di consiglio e invitando la stessa ad evitare alcuni comportamenti.

La spinosa questione, come anticipato dal Dubbio, sarà presto oggetto di una riunione del Comitato di presidenza del Csm. E la questione è, appunto, tutta giuridica. Da un lato c’è la “versione” di Costa, più volte affrontata sulle colonne di questo giornale. Dall’altro, però, ci sono altri elementi che depongono a favore di un possibile intervento dello stesso Csm, che, dunque, potrebbe agire per sospendere Natoli, nel frattempo indagata dalla procura di Roma. Basti pensare a quanto si legge nella relazione dell’Ufficio Massimario, che specifica che «se è vero che l’autorità amministrativa o civile non può valorizzare il solo dato dell’iscrizione nell’adozione dei provvedimenti, non è espressamente impedito l’utilizzo autonomo in sede civile o amministrativa degli elementi indiziari valutati dal pubblico ministero all’atto dell’iscrizione né, d’altra parte, la divulgazione mediatica dell’iscrizione».

La questione continua a tenere banco tra le toghe. E in una chat di circa 1500 magistrati le parole di Costa non sono passate inosservate. «È bene porre a confronto l’apoditticità dell’affermazione a fronte della articolata analisi della disciplina contenuta nell’articolo su Questione Giustizia di Nello Rossi», che aveva evidenziato come nel caso Natoli «vi è decisamente molto di più della mera iscrizione, se si pensa che il Consiglio superiore ha direttamente ricevuto e poi trasmesso alla procura della Repubblica di Roma la registrazione audio del colloquio tra la giudice Natoli e l’incolpata Maria Fascetto Sivillo, dalla quale sono già emersi chiari e consistenti elementi di una condotta qualificabile come rivelazione di segreto d’ufficio». Il tono della dichiarazione di Costa, aggiunge poi un magistrato, «rileva il livore che anima questi campioni della riforma costituzionale».