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STEFANO ESPOSITO POLITICO PD
Perdita di un anno di anzianità e trasferimento in altra sede e ad altra funzione. È questa la richiesta avanzata dalla Procura generale della Cassazione nei confronti del pm di Torino Gianfranco Colace e della gip Lucia Minutella, entrambi sotto procedimento disciplinare. La vicenda riguarda le intercettazioni telefoniche disposte tra marzo 2015 e marzo 2018 nel procedimento denominato “Bigliettopoli”, una storia di presunti scambi di favori con ex titolare dell’agenzia “Set Up Live”, Giulio Muttoni, che organizzava e promuoveva concerti e spettacoli.
L’allora senatore Pd Stefano Esposito venne ascoltato ben 500 volte, il tutto senza l’autorizzazione del Senato. In maniera illegittima, come stabilito nel 2023 dalla sentenza 227 della Corte costituzionale. Ipotizzando reati a carico di Muttoni, la procura aveva intercettato l’imprenditore, arrivando così ad ascoltare anche le telefonate con Esposito, allora membro della Commissione parlamentare antimafia. Dall’ascolto di quelle conversazioni la procura era arrivata ad ipotizzare atti contrari ai doveri d’ufficio compiuti dal senatore per favorire Muttoni, ricevendo in cambio benefici personali.
Nel 2022, il Senato ha sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sostenendo che l’autorità giudiziaria aveva violato l’articolo 68, comma 3, della Costituzione effettuando intercettazioni indirette senza richiedere l’autorizzazione preventiva o successiva. Il Senato aveva anche segnalato la vicenda alla procura generale della Cassazione, facendo partire il meccanismo che ha portato alle richieste di ieri davanti al Csm.
Anche perché la Corte costituzionale ha riconosciuto la fondatezza del ricorso del Senato, dichiarando che le intercettazioni erano illegittime e di natura indiretta, poiché finalizzate a captare le comunicazioni di Esposito. Una conclusione basata su una serie di “indici sintomatici”: la Consulta aveva infatti posto l’accento sul numero e sulla durata delle conversazioni intercettate, che indicavano una continuità e un interesse persistente nei confronti delle comunicazioni del parlamentare. La cui identità era nota già da marzo 2015, quando la polizia giudiziaria identificò Esposito come interlocutore di Muttoni.
Ciononostante le intercettazioni proseguirono senza la richiesta di autorizzazione prevista. Ma non solo: stando ad un’informativa della polizia giudiziaria il contenuto delle conversazioni intercettate costituiva uno spunto investigativo meritevole di approfondimento. È a partire dal 3 agosto 2015, giorno in cui l’informativa venne depositata, dunque, che secondo la Consulta si «deve ritenere che Esposito sia stato incluso tra i bersagli dell’attività di indagine, con la conseguenza che tutte le intercettazioni successive devono intendersi, in realtà, come rivolte ad accedere alla sua sfera di comunicazioni». Intercettazioni da considerare illegittime, dunque, perché non accompagnate dall’autorizzazione preventiva prevista dall’articolo 4 della legge n. 140/ 2003. Così come le intercettazioni precedenti, mancando la richiesta di autorizzazione successiva prevista dall’articolo 6 della stessa legge. La sentenza ha dunque portato all’annullamento della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura di Torino e del decreto che disponeva il giudizio, eliminando di fatto le intercettazioni come prova nei confronti di Esposito.
Il caso ha subito un’inversione di rotta con l’intervento della Corte di Cassazione, che ha trasferito le indagini a Roma per competenza, annullando il rinvio a giudizio e affidando il caso alla procura della capitale. I pm romani hanno dunque chiesto alla polizia giudiziaria un’informativa che compendiasse le fonti di prova utilizzabili, dalla quale, stando alle conclusioni dei pm, non emergerebbe alcun indizio concreto. Da qui l’archiviazione, disposta lo scorso 3 dicembre.
Ma l’azione dei magistrati torinesi è rimasta sotto la lente d’ingrandimento: Colace e Minutella sono infatti accusati di «grave violazione di legge, determinata da ignoranza o negligenza inescusabile». In particolare, Colace avrebbe chiesto il rinvio a giudizio di Esposito, indicando fra le fonti di prova anche le intercettazioni telefoniche “incriminate”, mentre la gip Minutella avrebbe mandato Esposito a processo utilizzando quelle stesse intercettazioni come fonti di prova.
Nella sua requisitoria, il sostituto procuratore generale della Cassazione Marilia Di Nardo ha richiamato la sentenza della Consulta, ricordando come quelle intercettazioni fossero «indirette e non occasionali, una captazione prolungata nel tempo». Per la difesa hanno preso la parola il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Cascini e l’avvocato Marcello Maddalena. «Quale sarebbe la norma di legge violata? - si è chiesto Cascini - Si accusa di aver usato come prove le intercettazioni in una fase in cui in realtà non vengono utilizzate. La gip ha deciso ragionando, citando la giurisprudenza della Cassazione. Come è possibile parlare di negligenza? Si può non essere d’accordo con il suo operato, ma ha fatto il suo lavoro con coscienza e motivando», ha sottolineato Cascini, chiedendo l’assoluzione per la gip di Torino.
Maddalena ha invece sottolineato che Colace «ha semplicemente chiesto che fra le fonti di prova di un procedimento con decine di indagati ci fossero le intercettazioni telefoniche, ma non ne ha mai utilizzata una», ha dichiarato, chiedendo anch’egli l’assoluzione. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 25 marzo per le repliche e per la sentenza.