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Il pm Colace
Stefano Esposito fu intercettato illegittimamente e illegittimamente rinviato a giudizio. Significa questo la decisione del Consiglio superiore della magistratura, che ha condannato il pm di Torino Gianfranco Colace e la gup Lucia Minutella per le intercettazioni a carico di Esposito, all’epoca senatore del Partito democratico, indagato e accusato sulla base di captazioni non autorizzate, come stabilito dalla Corte costituzionale.
La sezione disciplinare di Palazzo Bachelet, presieduta da Fabio Pinelli, ha accolto le richieste della procura generale, disponendo la perdita di anzianità di un anno, il passaggio alla funzione civile e il trasferimento a Milano per Colace, sentenziando la sola censura per Minutella. Un esito che Esposito non si aspettava, tanto da annunciare, il giorno prima della sentenza, la certa assoluzione di Colace e Minutella in sede disciplinare. «Non mi aspettavo questo esito - dice ancora sorpreso l’ex senatore dem al Dubbio -. Ogni volta che la vicenda è stata giudicata fuori da Torino - prima dalla Corte di Cassazione, poi dalla Corte costituzionale e oggi dal Csm - il risultato è sempre stato lo stesso: censura nei confronti di chi ha condotto l’indagine. Senza contare che le accuse nei miei confronti, come è noto, sono state tutte archiviate. Questo mi dà soddisfazione, ma ci tengo a sottolineare una cosa per me fondamentale: questo pm e questa gup sono comunque due presunti innocenti, perché questa è una sentenza di primo grado. Hanno diritto al ricorso in Cassazione e siccome io sono un garantista e rispetto davvero la Costituzione ritengo questo un aspetto essenziale. Ma non posso negare di essere soddisfatto. Ho portato avanti una battaglia difficile, che purtroppo quasi nessuno ha il coraggio di combattere - aggiunge -. Ho denunciato, anche se le sanzioni disciplinari sono ridicole rispetto alle conseguenze di ciò che ho vissuto io, ma il punto è un altro: se nessuno denuncia, non cambia nulla. Non possiamo affidarci solo alla battaglia per la riforma della giustizia: le leggi, per quanto imperfette, esistono e vanno usate. So bene quanto sia difficile, serve un’energia particolare per portare avanti una battaglia come questa».
Ma si tratta di strumenti inefficaci, spiega Esposito: «Anziché parlare di separazione delle carriere - conclude -, bisognerebbe intervenire sul disciplinare, renderlo più rigido e cogente. E anche sulla responsabilità civile: se ci fosse un impatto maggiore sulla giustizia e sui cittadini, forse le cose cambierebbero».
Secondo il sostituto procuratore generale della Cassazione Marilia Di Nardo, che ha rappresentato l’accusa davanti alla sezione disciplinare, la procura di Torino era a conoscenza del rapporto tra Stefano Esposito e l’imprenditore Giulio Muttoni, indagato nell’ambito dell’indagine “Bigliettopoli”, fin dal marzo 2015. In un’annotazione del 25 marzo 2015, infatti, la polizia giudiziaria sottolineava che Esposito era «legato all’imputato da un rapporto di profonda amicizia», aggiungendo che tra i due intercorrevano «numerose conversazioni dal tenore nettamente confidenziale». Se fino al 3 agosto 2015, secondo la Corte costituzionale, non era necessaria l’autorizzazione parlamentare, in quanto le intercettazioni potevano ancora essere considerate occasionali, a partire da quella data la polizia giudiziaria rimette gli atti alla procura segnalando la necessità di valutare se dai dialoghi tra i due emergessero «spunti investigativi meritevoli di approfondimento».
Da quel momento, dunque, le intercettazioni assumono un carattere mirato e, pertanto, la procura avrebbe dovuto chiedere un’autorizzazione al Senato. Ciò però non è avvenuto e l’attività su Esposito ha prodotto 446 conversazioni captate, di cui 148 ritenute rilevanti per le indagini. Il numero elevato e il lungo arco temporale in cui sono state effettuate dimostrano dunque «il rischio di un ampliamento a macchia d’olio degli accessi alle comunicazioni del parlamentare».
Nonostante ciò, Colace ha chiesto il rinvio a giudizio di Esposito senza chiedere l’autorizzazione parlamentare, basandosi - ha affermato l’accusa - proprio sul contenuto delle intercettazioni. Cosa che per il pg costituisce «una grave violazione di legge determinata da ignoranza e negligenza inescusabile».
Dal canto suo, la gup Minutella, che ha disposto il rinvio a giudizio il 1 marzo 2022, non ha verificato, come avrebbe dovuto, la mancata autorizzazione del Senato. Pur avendo la possibilità di escludere tali intercettazioni dalle prove, la giudice ha deciso di non approfondire la questione, disponendo il processo. Durante la precedente udienza Colace - difeso dall’avvocato Marcello Maddalena - ha preso la parola, spiegando di non aver utilizzato le intercettazioni, ma di aver «indicato» delle fonti di prova.
Ma non solo: il pm ha ammesso di essersi posto il problema della richiesta di autorizzazione. «Quando poi a un certo punto vi sono dei contatti con il senatore Esposito, io il problema me lo sono posto. Però francamente il fatto che il signor Giulio Muttoni avesse un amico parlamentare, ma insomma, io, molto banalmente, molto andando al concreto, avrei dovuto chiedere al Senato “Scusate, c’è un amico di un senatore che forse corrompe una talpa, un ufficiale di polizia giudiziaria in procura. Posso intercettare il signor Muttoni?” e francamente a me non è sembrato giusto. Io ho pensato che non fosse questa la strada». Ma non solo: «L’annotazione del 3 agosto - ha sottolineato - non era indirizzata a me», così come quelle di ottobre 2015, «le ho viste tre anni dopo». Per cui, «l’inizio della vicenda appartiene ad altri, ad altri colleghi». Ma in ogni caso, «se una persona ha un amico parlamentare e si ritiene che lui sia raggiunto da indizi di reato, non so perché avrei dovuto chiedere l'autorizzazione a effettuare intercettazioni perché era amico di un senatore».
Concetti poi rimarcati dall’avvocato Maddalena: «Se c’è stata, come dice la Corte costituzionale, una deviazione della direzione dell’indagine, un cambiamento della direzione dell'indagine, non è opera del dottor Colace perché non c’era ancora». Argomenti che, però, non hanno convinto il Csm.