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Un anno. Ma non è bastato. Il Parlamento avrebbe potuto provvedere. Ma non c’è riuscito. E adesso è molto, ma molto difficile che la Corte costituzionale decida di rinviare ancora la propria pronuncia - attesa per oggi o per i prossimi giorni - sul caso di Marco Cappato e Fabiano Antoniani, ossia sul reato di aiuto al suicidio.
Può darsi, certo, che nell’inevitabile conflitto tra le ordinarie procedure della giurisdizione e la spasmodica attesa della politica, dei media, del Paese, anche un normalissimo protrarsi dei lavori faccia attendere ancora, per sapere della parziale incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale. Forse il giudice delle leggi emetterà la sentenza negli ultimi o nell’ultimo giorno della settimana. Ed è altrettanto inevitabile che ogni minuto moltiplicherà l’attesa. E le interpretazioni fantastiche. Ma una cosa è assai più probabile delle altre: la Corte costituzionale dovrebbe sciogliere il quesito sul reato di aiuto al suicidio nelle prossime ore, senza rimetterne ancora la responsabilità al Parlamento.
È il senso di una vigilia tesissima. In cui appunto la Cei, attraverso il suo vicepresidente Mario Maini, ribadisce il «no» al «tentativo di introdurre nell’ordinamento pratiche eutanasiche». Così come il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Cappato appunto, parla di «tante e forti pressioni» per ottenere, dalla Consulta, un ulteriore rinvio. Sono ore in cui si deve fare i conti con quell’insostenibile conflitto tra la leggerezza dei calendario e la pesantezza del clima. Oggi la Corte potrebbe trovarsi di fronte a una nuova udienza, sul caso, meno agile del previsto.
Intanto perché nel calendario dei lavori non c’è solo la questione sollevata nel processo al dirigente radicale. E poi perché non è possibile stabilire a freddo come si comporteranno le parti. Se il collegio difensivo di Cappato, guidato da Filomena Gallo e Vittorio Manes, e l’avvocatura dello Stato si soffermeranno a lungo sulle conseguenze dell’inedita ordinanza emessa un anno fa dalla stessa Corte. Non è perciò possibile prevedere se davvero l’inizio della camera di consiglio potrà iniziare in giornata. O se slitterà a domani. Ma un altra cosa certo ragionevole sembra cogliersi nei quasi impalpabili segnali che filtrano da Palazzo della Consulta: una camera di consiglio del genere non può durare pochi minuti. Servirà tempo per riflettere.
I giudici vorranno bilanciare «i valori di primario rilievo» che si incrociano in una storia come quella di Fabiano Antoniani e di Cappato. E soprattutto dovranno prendere atto di come il legislatore non sia riuscito ad approfittare di quella possibilità di «ogni opportuna riflessione e iniziativa» “consentita” dalla Consulta esattamente un anno fa. Il 24 ottobre 2018 l’ordinanza firmata dal giudice relatore Franco Modugno affermò che sarebbe stato necessario «evitare, per un verso, che una disposizione» continuasse a «produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili», ma al tempo stesso scongiurare «possibili vuoti di tutela di valori, anche essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale»
Un anno senza che il Parlamento sia riuscito a trovare quel «bilanciamento». Di più: senza che nemmeno sia stato adottato un testo base nella commissione Affari sociali di Montecitorio. È intanto questo il dato che segnala lo stesso “candidato relatore” di una eventuale legge sul fine vita che, alla Camera, non ha mai preso corpo: il deputato Giorgio Trizzino. Il parlamentare del Movmento 5 Stelle afferma su facebook «l’inerzia legislativa» di questi 11 mesi. Perché la Corte dovrebbe affidarsi ancora al Parlamento? Non ce n’è ragione. Nei giorni scorsi il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio ha rivendicato la centralità delle Camere, e ha chiesto che la decisione non fosse lasciata alla Corte costituzionale.
Ma la posizione di Delrio sembra riferirsi a quella parte dei dem sfavorevole a una depenalizzazione assoluta, da scartare anche dinanzi a condizioni come quelle di Fabiano Antoniani ( e individuate dall’ordinanza della Consulta: sofferenza che la persona trova insopportabili, impossibilità di guarigione, piena coscienza, dipendenza dalle macchine). È la specificità della prospettiva evocata dal capogruppo pd a rendere impossibile il semplice avvio, allo stato attuale, di una discussione fattiva nella neonata maggioranza.
C’è troppa distanza: i 5 Stelle sono chiaramente favorevoli alla non punibilità di casi come quello di Cappato, che il 27 febbraio 2017 ha accompagnato Fabiano Antoniani in una clinica svizzera, dove poi, Fabiano scelse di interrompere le proprie sofferenze. Non c’è possibilità di accordo. Se non, come ha detto Cappato ancora ieri, «per una successiva necessaria definizione in Parlamento delle procedure con cui esercitare il diritto ad andarsene». Non c’è quel diritto, ha detto ancora ieri la Cei: «Anche se ammantate di pietà e di compassione, si tratta», ha detto monsignor Meini, «di scelte di fatto egoistiche, che finiscono per privilegiare i forti e far sentire il malato come un peso inutile e gravoso per la collettività». Ancora poche ore e sarà la Consulta a parlare.