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«La Boschi ha mentito al Parlamento». «La Boschi ha un conflitto di interessi come lo ebbe Berlusconi». «La Boschi ha aperto una corsia preferenziale per la Banca di suo padre». Il giornalismo fondato sulla balla
Poi: «La Boschi è il Mario Chiesa della seconda Repubblica» ( cioè ha preso delle tangenti pagate in contanti, ndr).
Ancora, «La Boschi ha confessato». Vogliamo andare avanti? Massì, citiamo pure qualche grido su Consip, tipo: «Renzi ha mentito», «Il papà di Renzi ha incontrato Bocchino», «Alcuni 007 hanno cercato di bloccare le indagini su Renzi».
Beh, insomma, ce n’è abbastanza per mandare a casa Boschi, per cacciare Renzi dal Pd, e poi per aprire indagini su indagini, da parte della magistratura, firmare avvisi di garanzia a raffica, arrestare qualcuno, e infine chiedere i conti al Pd per tante nequizie, e naturalmente per mandare a casa il governo. Giusto?
Giusto, però tutte le affermazioni che abbiamo riportato tra virgolette sono false. Tutte. Completamente false. Sono affermazioni che ho ripreso da vari giornali, soprattutto dal Fatto ma non solo, oppure sono frasi pronunciate da diversi leader politici, a partire da Di Maio e dallo stesso Travaglio ( che ormai è considerato il vero capo del partito populista, cioè del partito trans– partito che sta ottenendo grandi successi, grazie anche ai due vice di Travaglio: Grillo e Salvini…).
Vediamole una ad una, visto che sono in questi giorni al centro della polemica politica. 1) Maria Elena Boschi non ha mentito al Parlamento. Ieri su questo giornale abbiamo pubblicato il testo dell’intervento che pronunciò a Montecitorio nel dicembre di due anni fa e nessuna delle cose che disse in quell’occasione è stata smentita. Né da Vegas né da nessun altro. Anzi, l’altro ieri Giuseppe Vegas ( presidente di Consob e persona che ha avuto parecchie polemiche in passato col governo Renzi del quale la Boschi ha fatto parte) ha confermato di non aver mai ricevuto pressioni da lei su Banca Etruria. Pare invece che fu lui a fare qualche pressione sulla Boschi invitandola a casa sua, da sola, alle otto di mattina. La Boschi non ci andò: ma questa è un’altra storia… 2) Sostenere ( come ha fatto con aria anche piuttosto solenne, in Tv, Marco Travaglio) che la Boschi ha un conflitto di interessi simile a quello che aveva Berlusconi, è una affermazione che rasenta la trovata comica ( non intenzionale, però).
Berlusconi, quando gli si rimproverò il conflitto di interessi, controllava personalmente tutte le televisioni private nazionali, cioè circa il 50 per cento delle televisioni italiane. E diversi giornali. Maria Elena Boschi invece possedeva 1500 euro di azioni di Banca Etruria.
1500 euro, capite? E per di più li ha persi quasi tutti. Ora, per paragonare il conflitto di interessi della Boschi e quello di Berlusconi, beh ci vuole o una dose massiccia di malafede, oppure una dose molto molto molto piccola di capacità intellettive. Propendo per la prima ipotesi.
3) La Boschi non ha aperto nessuna corsia preferenziale per suo padre. Tranne quella – diciamo così – che ha porta al licenziamento. Il governo del quale faceva parte la Boschi ha commissariato banca Etruria e mandato a casa il consiglio di amministrazione del quale il padre della Boschi faceva parte. Esempio raro, mi pare, di limpidezza. Possibile che questo nessuno lo dica?
L’altra sera, in Tv, la Boschi ha chiesto tre volte a Travaglio: «Mi dice di quali favoritismi avrebbe goduto mio padre?».
Silenzio. Totale silenzio di Travaglio.
4) La Boschi come Mario Chiesa? L’accusa l’ha lanciata Di Maio, è una accusa gravissima. Mario Chiesa era un amministratore milanese che fu beccato mentre intascava una tangente, e da lì poi partì tutta l’inchiesta su “Tangentopoli”. Maria Elena Boschi non è sospettata da nessuno, neppure lontanamente, di avere preso una tangente. È del tutto incensurata, non ha nessun avviso di garanzia ( a differenza di tanti amministratori del partito di Travaglio). Nemmeno nei momenti più cupi della lotta politica qualcuno aveva fatto ricorso a menzogne e accuse così platealmente false verso un avversario. L’unica scusante, per Di Maio, è che probabilmente non ha capito bene neanche lui cosa stesse dicendo. Ma questo non toglie nulla alla gravità di questo passo ulteriore verso l’imbarbarimento della politica.
5) «La Boschi ha confessato».
È il titolo che occupa l’intera prima pagina del Fatto di ieri.
Ovvio che per confessare bisogna aver commesso un reato, se no come fai a confessarlo? Dunque il Fatto sostiene che la Boschi ha commesso un reato e poi lo ha confessato. Naturalmente entrambe le cose sono false.
Valgono le stesse osservazioni fatte per Di Maio. E la stessa, eventuale, scusante: se Di Maio, come è noto, non conosce bene la geografia né la storia, è possibile che al Fatto zoppichino con l’italiano… 6) Infine il caso Consip, uno degli infortuni giornalistici più gravi degli ultimi trent’anni, e che tuttavia ancora viene usato – in spregio assoluto della verità – per attaccare il Pd. Le affermazioni che abbiamo riportato, all’inizio di questo articolo, su Renzi, come è noto, sono quelle contenute in una informativa dei carabinieri rivelatasi poi del tutto falsa, ma fatta filtrare, illegalmente, nelle redazioni di alcuni giornali ( in particolare il solito Fatto) e usata per una campagna di stampa contro Renzi e altri.
Non solo quando si è scoperto che le notizie erano false non c’è stato un passo indietro dei giornali e dei giornalisti colpevoli di avere costruito una campagna di stampa su notizie illegali e false. Non solo non è scattato un moto di indignazione per le probabili trame di pezzi dello Stato ( settori dei carabinieri e forse della magistratura) contro il partito di maggioranza. Ma la campagna contro il Pd è proseguita, come se nulla fosse, ignorando totalmente la falsità delle notizie.
Ecco, quando si parla di fake news si parla esattamente di tutto questo. Della costruzione di vere e proprie “realtà parallele”, false, ma che riescono, grazie alla potenza dell’ apparato informativo del quale dispongono – stampa, Tv, rete – a tenere a bada la “realtà reale” e talvolta a cancellarla del tutto, a farla sparire.
Naturalmente questo è possibile solo in un clima politico particolare. Cioè l’attuale clima politico, dove non solo il populismo reazionario si espande e cresce, conquistando fette grandi dell’opinione pubblica e dell’intellettualità, ma riesce a condizionare e ad assoggettare settori ormai vastissimi dell’informazione tradizionale. L’inseguimento del populismo è diventato una specie di carta d’identità del giornalismo italiano.
Lontano le mille miglia dalle tradizioni del grande giornalismo liberale occidentale. E chi fa le spese di questo ciclone in primo luogo è il sistema democtratico, fiaccato dalla assenza di una corretta informazione, e poi sono alcune migliaia di giornalisti, che hanno una considerazione alta della propria professione, e che non possono più esercitarla. Non trovano spazio. Non vengono più nemmeno presi in considerazioni da chi comanda, da chi ha in mano il timone, dagli editori. Gli editori sembrano disinteressati ad avere giornalisti. Vogliono esecutori. Certo, se un giorno i giornalisti si ribellassero...