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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Congelata, ma solo temporaneamente. La separazione delle carriere, ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio in un’intervista a Libero, si farà, ma non esiste ancora alcun testo, ha sottolineato, confermando quanto sostenuto dal Dubbio nei giorni scorsi.
Se ne riparlerà con l'autunno, fanno sapere fonti di via Arenula, e oggi sono previste riunioni sul cronoprogramma della riforma della Giustizia, partita con un primo pacchetto che ha faticosamente imboccato la strada di Palazzo Madama per approdare alla Commissione presieduta da Giulia Bongiorno. Ma quella che vuole dividere pm e giudici rimane la riforma più delicata, la più rappresentativa di un programma di governo che sulla giustizia si gioca forse la propria tenuta. Solo una settimana fa a rilanciarla con vigore era stato il sottosegretario Andrea Delmastro, poi travolto, pochi giorni dopo, dall’imputazione coatta per rivelazione d’ufficio nel caso Donzelli, che ha fatto gridare allo scandalo un’anonima fonte di Palazzo Chigi. E da lì è partita la guerra tra politica e toghe, arricchita dai casi Santanché e La Russa e da nuove note impersonali partite dal ministero della Giustizia, che fonti interne attribuiscono a chi «vorrebbe intestarsi le riforme».
Con quelle note e con le dichiarazioni rilasciate dall’Anm, che lamentava il tentativo di delegittimazione dell’esecutivo, si è dato il via ad un botta e risposta fatto di accuse reciproche, che affondano le proprie radici nel pacchetto di riforme già approvate dal consiglio dei ministri; dichiarazioni poi edulcorate per evitare un implosione che potrebbe rivelarsi fatale. Anche perché la partita vera si giocherà tutta attorno a questa «riforma di civiltà» - così l’ha definita Delmastro -, che si farà, giurano tutti i partiti di maggioranza. E nel dirlo sembrano voler ricordare di avere il coltello dalla parte del manico - «le leggi le fa il Parlamento, i magistrati le applicano» -, gettando contemporaneamente acqua sul fuoco invitando ad evitare gli scontri. Tutto, dunque, sembra far propendere per una strategia della tregua, in attesa che Giorgia Meloni pronunci le prime parole su una polemica tanto aspra da rendere surreale il suo silenzio e che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella firmi il ddl Nordio, prima tappa di una riforma della Giustizia che sembra destinata a viaggiare a rilento. Sulla road map ci sono ancora gli interventi sulla prescrizione e le intercettazioni e solo dopo si penserà alla riforma più odiata dai magistrati. Che potrebbe però rischiare di non vedere mai la luce, dati i tempi necessari per una modifica costituzionale sulla quale difficilmente si potrà viaggiare con il piede sull’acceleratore, data l’esigenza di riformare, contemporaneamente, anche il Csm. «Noi fino adesso non l’abbiamo proposta - ha detto dunque Nordio -. Esiste una proposta in Parlamento depositata da altre forze politiche. Una separazione netta delle carriere esigerebbe una riforma costituzionale, come una riforma netta del Consiglio superiore della magistratura. Questo è però nel programma di governo». In Parlamento sono attualmente depositate, complessivamente, cinque proposte. Quattro - quelle di Jacopo Morrone (Lega), Tommaso Calderone (FI), Enrico Costa (Azione) e Roberto Giachetti (Iv) - sono state accorpate alla Camera, mentre al Senato pende quella della leghista Erika Stefani. Ma dal 29 marzo non si muove nulla in Commissione.
Tutti - da Forza Italia alla Lega, passando per FdI - promettono di voler fare riforme per e non contro, ma rilanciano comunque l’odiata separazione. La Lega, con una nota, ripropone l’intero pacchetto elettorale, auspicando l’approvazione di una riforma fatta per unire «garantismo e certezza» ma che includa anche «la separazione delle carriere». «Una sfida da vincere - continua la velina -, per rendere l’Italia più moderna e credibile anche a livello internazionale». Ma «all’insegna della rispettosa collaborazione» e «e nel rigoroso rispetto sia dell’obiettivo finale che delle prerogative costituzionali di ogni soggetto».
Un concetto ribadito anche da FI, che con il senatore Pierantonio Zanettin - che in Commissione Giustizia mira a portare a casa anche il sorteggio temperato per l’elezione dei componenti togati del Csm - rimarca al Dubbio di non voler rinunciare alla riforma. «Per noi rimane una priorità - dice -. Abbiamo quattro anni abbondanti, dunque possiamo lavorarci. Però è una riforma costituzionale che richiede dei tempi: sarebbe il caso di riprenderla in mano. In questo momento, dopo tutta la tensione che c’è stata, ci vuole un po’ di calma. È inutile alimentare ulteriori attriti tra politica e magistratura. Ma ci auguriamo che si raggiunga questo traguardo».
Inutile fare guerre, dunque, «anche perché se si alzano troppo i toni non si combina niente - conclude -. Speriamo che arrivi presto in Commissione il primo pacchetto di riforme per metterci a lavoro su un testo che per noi è un buon punto di partenza».