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MATTEO SALVINI MINISTRO GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ANTONIO TAJANI MINISTRO
«Quella sulla separazione delle carriere è la riforma delle riforme» ha ribadito ieri il vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto per cui «vogliamo che l’arbitro non sia della stessa città di una delle due squadre». Quindi un giudice terzo ed imparziale. Ma che succede se, secondo statistiche ufficiali in primo grado la percentuale di assoluzioni è del 50 per cento, e se proprio due processi, per alcuni definiti “politici”, come quello contro Matteo Renzi e Matteo Salvini, si concludono con un nulla di fatto?
La conseguenza più logica, considerati i dati di fatto, sarebbe quella di un depotenziamento della battaglia. E invece no, anzi: se così era sembrato a poche ore dalla sentenza su Open Arms, adesso invece dal centrodestra tornano a rivendicare la necessità della riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario. Perché c’è sempre comunque un magistrato che sbaglia, che perseguita, che fa carriera grazie alle correnti. Per lo più un pm. Dunque nessun freno, occorre arginare il loro strapotere. «Devo dire – ha dichiarato Matteo Salvini – che in Tribunale a Palermo ho visto una corretta, giusta, sana separazione di chi giudica rispetto a chi indaga, non sempre è così».
Ci ribadisce il capogruppo di Fi in commissione Giustizia alla Camera, Tommaso Calderone: «La separazione delle carriere è una riforma costituzionale storica. E la Storia prescinde dai fatti contingenti. Le assoluzioni di Salvini e Renzi sono utili a dimostrare un'altra verità. Il tonfo delle ipotesi accusatorie. Il proscioglimento in udienza preliminare di Renzi ha un solo significato: l’azione penale non andava esercitata. Non poteva reggere in dibattimento. L’assoluzione “perché il fatto non sussiste” di Salvini ha un solo significato. Si è sottoposto per anni a un ingiusto procedimento penale il vicepremier per un fatto che non sussisteva. La separazione delle carriere la richiede l'ordinamento processuale e la Costituzione. E non vi è dubbio che vedrà la luce in questa legislatura». Stessa convinzione del deputato Francesco Michelotti, relatore del provvedimento per Fd’I: «I casi Renzi e Salvini e nel passato quelli di tanti altri esponenti politici che hanno trovato ragione nell’ultimo grado del giudizio, confermano una verità che nessuno può negare: la stragrande maggioranza della magistratura giudicante è indipendente, autonoma e terza fra le parti. Ed è anche molto preparata e competente. Non abbiamo mai pensato il contrario». E quindi verrebbe da dire che non serve la separazione. Tuttavia, prosegue Michelotti «non possiamo nemmeno ritenere che due casi plastici come quelli di Renzi e Salvini possano bloccare una riforma necessaria, voluta dal Governo Meloni» e che «sancisce in modo netto la terzietà della magistratura giudicante e la rafforza, affidando al solo Giudicante l’ultima parola; oggi purtroppo fa notizia l’indagine, l’ordinanza cautelare, la richiesta di rinvio a giudizio. Noi vogliamo ribaltare questo schema e dare centralità alla sentenza, non all’azione del pm, che spesso si rivela infondata».
Sullo sfondo lo scontro a distanza tra Unione delle Camere Penali e Associazione Nazionale Magistrati. L’Ucpi guidata da Francesco Petrelli ha diramato una durissima nota: le assoluzioni di Renzi e Salvini «ci confermano che nel nostro Paese l’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura, che ha avuto nel nostro Paese tratti eversivi, non è mai cessato. Le recenti assoluzioni testimoniano tuttavia che la magistratura è composta in larga maggioranza da magistrati che non seguono queste logiche ma ne sono in qualche modo vittime, posto che esiste una magistratura che fa carriera e gestisce il potere, e una magistratura che subisce la delegittimazione e la mancanza di fiducia che deriva dall'uso strumentale del potere giudiziario». Per alcuni avvocati, che per il momento preferiscono rimanere anonimi per non alimentare botta e risposta ufficiali, questo comunicato dell’Ucpi sarebbe però «un autogol assoluto» perché, «come rilevato da molti nelle nostre chat», questo epilogo dei processi contro Renzi e Salvini «avvalora l’ipotesi contraria» ossia «che non sia necessaria la separazione delle carriere. Essa è necessaria ma non con questo argomentare».
Il comunicato dell’Ucpi sarebbe nato, come ci spiegano altri, dal fatto che nell’immediatezza della decisione su Salvini aveva preso piede la narrazione per cui, essendo stati i giudici non appiattiti sulla tesi accusatoria, allora la riforma non servirebbe. Da qui la necessità di «riprendere terreno» e «fare pressione sul Governo».
Non si è fatta comunque attendere l’altrettanto dura replica dell’Anm che ha accusato i penalisti di «scarsa lucidità nella lettura dei fatti», di «bizzarra idea» quella per cui l’assoluzione di due esponenti politici «stia a dimostrare che una parte della magistratura è intenta a “fare carriera” e “gestire il potere”», in quanto « i processi si fanno per accertare i fatti e non per validare verità precostituite», «che in un sistema retto dall’obbligatorietà dell’azione penale, i processi sono iniziati per valutazioni non di convenienza, meno che mai politica, ma d’ordine tecnico». Infine «è poi dissennata l’accusa alla magistratura di aver fatto uso politico, addirittura a tratti eversivo, dello strumento giudiziario. Accusa tanto grave quanto generica, perché non si dice quando e in che modo, e ad opera di chi, siano stati assunti atteggiamenti eversivi».
Insomma chi sognava la pax natalizia rimarrà deluso.