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il Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante la conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri tenutosi a Palazzo Chigi a Roma
Se si vuol capire la determinazione della maggioranza sulla giustizia basta partire dalla prima notizia trapelata dal vertice di ieri a via Arenula: l’eccezione prevista – o meglio, concordata al summit – per il limite di 45 giorni imposto alle intercettazioni: il tempo massimo concesso ai pm per l’uso dello strumento investigativo (prorogabile solo qualora emergano elementi “specifici e concreti” nella prima fase degli “ascolti”) sarà derogabile non solo per i reati di mafia e terrorismo, ma anche per le violenze in famiglia, e in generale per tutti i casi che rientrano nel “codice rosso”.
A un primo sguardo, la logica conseguenza sembrerebbe l’ulteriore passaggio al Senato per la legge sul limite dei 45 giorni, appena sbarcata a Montecitorio dopo il primo sì di Palazzo Madama. E invece no: il correttivo è ritenuto sì necessario, da Carlo Nordio e dai rappresentanti del centrodestra riuniti ieri mattina dal ministro, ma altrettanto importante è arrivare all’approvazione definitiva della proposta di legge, firmata dall’azzurro Pierantonio Zanettin.
E quindi, come chiarisce un comunicato diffuso dal guardasigilli, la correzione sui reati da “codice rosso” «verrà anticipata da un ordine del giorno cui verrà data attuazione nel primo provvedimento utile, così da non rallentare l’iter di approvazione del ddl proroga intercettazioni».
Perché il dettaglio è rivelatore? Perché intanto si tratta di un aggiustamento di una certa delicatezza, e non sarebbe dunque stato sorprendente se il centrodestra avesse deciso di “rassegnarsi” a un secondo passaggio a Palazzo Madama, pur di inserire l’eccezione relativa alle violenze di genere. Ma la scelta di evitare frenate sulla legge Zanettin certifica con assoluta chiarezza la determinazione della maggioranza in materia di giustizia anche perché, proprio sui “45 giorni”, l’estate scorsa un primattore, in quest’ambito, dell’alleanza di governo come il sottosegretario di FdI Andrea Delmastro aveva parlato di «limite draconiano».
Perplessità rientrate già da alcune settimane, in nome dell’assioma per cui le riforme in campo penale sono, insieme col ddl costituzionale di Nordio sulle carriere dei magistrati, una priorità assoluta. Più importanti del premierato, più condivise di altri dossier (vogliamo citare l’autonomia?), più centrali di molte altre materie. Non foss’altro perché la dialettica con la magistratura si è fatta, col trascorrere dei mesi, sempre più aspra. E il caso migranti, riaffiorato con lo stop imposto ieri ai trattenimenti in Albania dai giudici di Bologna (e di cui si dà conto in altro servizio, ndr), ne è solo la prova più eclatante.
Sempre a proposito della modifica preventivata per i reati da “codice rosso”, va detto che la maggioranza avvalora la tesi sostenuta con forza dalle opposizioni durante l’esame della legge Zanettin a Palazzo Madama. Era stata in particolare la capogruppo del M5S in commissione Giustizia, Anna Lopreiato, a proporre l’eccezione per le violenze di genere, considerato quanto fosse pericoloso restringere i tempi per le intercettazioni in un ambito in cui spesso le vittime finiscono per essere reticenti, ed è perciò necessario attendere a lungo prima che i “radar” degli investigatori possano “captare” elementi penalmente rilevanti.
IL CLAMOROSO TIMING SULLE CARRIERE SEPARATE
Al vertice hanno partecipato tutte le prime linee del centrodestra sul fronte giustizia: col guardasigilli, che ha tenuto banco ( e ha rinunciato a portare in Consiglio dei ministri
il ddl con le novità sulla criminalità informatica), c’erano il suo vice Francesco Paolo Sisto (FI), i sottosegretari Ostellari (Lega) e Delmastro (FdI), i capigruppo di Camera e Senato di tutte le forze di maggioranza, i presidenti delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali e i capidelegazione dei vari partiti in questi ultimi quattro organismi. Molti partecipanti, insomma, e inevitabilmente poco tempo per il dibattito: così è stato Nordio a dettare la linea. Che consiste nella richiesta di «unità e compattezza» su tutto: sulle intercettazioni, certo, con modifiche gestite appunto nella forma meno problematica possibile, ma anche e soprattutto sulla separazione delle carriere. È la riforma costituzionale della magistratura il vero nocciolo di tutte le questioni, per via Arenula e per Palazzo Chigi.
Se n’è discusso nel “secondo tempo” del vertice, tenuto nel pomeriggio, al quale sono intervenuti i presidenti delle due Prime commissioni, vale a dire Balboni (Senato) e Pagano (Camera) e i capigruppo di maggioranza Urzì (FdI), Russo (FI) e Bordonali (Lega). Anche qui è stato Nordio a essere nettissimo: «La priorità è la tempistica: è importante che la separazione delle carriere ottenga entro fine anno il primo via libera a Montecitorio, in modo da incassare il primo sì di Palazzo Madama per marzo prossimo, e tentare di completare gli altri due passaggi, previsti dall’iter per le leggi costituzionali, entro lo stesso 2025, in modo da celebrare il probabile referendum per la fine del prossimo anno, o al massimo per l’inizio del 2026».
Anche qui il messaggio è ineluttabile: se proprio dovete cambiare qualcosa, nel ddl costituzionale, fatelo solo nel pieno accordo fra tutti i partiti del centrodestra, ed evitate emendamenti “di bandiera”. Eventualità che – nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio presieduta dall’azzurro Nazario Pagano, dov’è in corso la prima lettura sulle “carriere” – è ormai impossibile: il termine per le proposte di modifica dei singoli gruppi è scaduto da una settimana. Ma i partecipanti all’incontro spiegano che non sarà semplice neppure accordarsi per un mini- pacchetto di ritocchi condiviso da tutta la maggioranza e presentato, come consente il regolamento, sotto forma di emendamenti del relatore.
Sarebbe l’unica via, ma è così predominante il messaggio di Nordio – «fate presto sulle carriere» , appunto – da scoraggiare la stessa Forza Italia. Erano stati gli azzurri a ipotizzare, nei giorni scorsi, innanzitutto una correzione sul sorteggio per i laici dei due futuri Csm: «C’è il rischio che, con l’estrazione a sorte, vengano nominati professori e avvocati vicini all’opposizione più che alla maggioranza». Ma l’ipotesi di modifica, a questo punto, sarà probabilmente accantonata, insieme con quella relativa alla separazione dei concorsi, suggerita, durante le audizioni, dal presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco.
L’ordine è correre, il più possibile. E la logica sembra legata all’eventualità di una sconfitta al referendum: se si verificasse a ridosso delle prossime elezioni politiche, in programma per metà 2027, rischierebbe di riverberarsi sui rapporti di forza nel futuro Parlamento. Quindi priorità alla giustizia, anche rispetto al premierato, ma senza compromettere il voto per il nuovo Parlamento. Non farebbe una grinza. Se non fosse che una faccenda così epocale qual è il riassetto della magistratura richiederebbe forse un minimo di studio e attenzione in più.