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«La logica di “fare” piuttosto che “fare bene” è una logica che abbiamo già vissuto con risultati che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti». Il presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, intervenendo alla Quinta giornata nazionale di incontro con i Responsabili di prevenzione della corruzione e della trasparenza, accende i riflettori sullo “sblocca cantieri”, il provvedimento approvato con la formula “salvo intese”, nel marzo scorso. «Il decreto sblocca cantieri introduce una serie di novità, come Autorità faremo uno studio che pubblicheremo sul sito in cui evidenzieremo gli aspetti positivi, davvero pochi, e tanti aspetti negativi che hanno a che vedere con il sistema della qualità degli appalti», afferma senza giri di parole il presidente dell’Anac. Cantone è convinto che in corso ci sia un tentativo concreto di ridimensionare il ruolo dell’Authority. «Sento nel paese a volte affermazioni strane, qualcuno dice che dobbiamo liberare il Codice dall’Anticorruzione. I dati di questi giorni ci fanno pensare che qualcuno vuole che il Codice piuttosto che essere liberato dall’Anticorruzione sia in mano alla corruzione», aggiunge il magistrato.
A garanzia del lavoro dell’Anac, però, ricorda Cantone, ci sono i numeri e i risultati acquisiti. «In cinque anni il sistema ha fatto enormi passi in avanti», spiega. «L’Anticorruzione è entrata nel dna del paese, è diventata una best practice internazionale, tanto che il modello italiano, pur con i suoi limiti, è un brand spendibile in molte parti del mondo».
Poi il presidente dell’Autorità, il cui mandato scade nel 2020, fa una sorta di bilancio dei cinque anni di attività: «Questa probabilmente sarà la mia ultima partecipazione alla Giornata di incontro con i Responsabili per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza», precisa. «La legislazione di prevenzione della corruzione può attecchire nel paese se i primi a crederci siamo noi. Smettiamola di pensare che la corruzione possa essere affrontata solo con le manette, certo indispensabili», ma è necessario che «entri lentamente nel dna l’idea di intervenire prima», un cambio di passo culturale «cui bisogna credere», conclude Cantone.