Sul ddl Sicurezza si procede a colpi di sedute notturne. Ieri si sono fatte le ore piccole. Stasera sarà lo stesso. E a dispetto del complicatissimo cortociruito politico innescato nella maggioranza, il motivo è semplice: bisogna fiaccare l’ostruzionismo delle opposizioni. Esame congiunto del provvedimento affidato alle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia del Senato. Uno sforzo inconsueto, ma necessario.

Non solo per i 1500 emendamenti opposti da Pd, M5S e Avs come i sacchi di sabbia in una battaglia primonovecentesca: Fratelli d’Italia, ma anche Forza Italia, sono pronte a modificare il testo. Ad accogliere almeno in parte i rilievi, e ad ascoltare certamente gli auspici arrivati persino dal presidente Sergio Mattarella. Ma la Lega non vuol saperne. Contrario anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il che basta a descrivere un quadro politicamente pesantissimo.

In ballo ci sono alcune parti del provvedimento urticanti per lo Stato di diritto: il divieto per gli immigrati clandestini financo di intestarsi la sim di un cellulare, la stretta sulle madri detenute, la formulazione pericolosissima della norma sulla resistenza passiva, che rischia di trasformare in reati le pur minime e disperate proteste nelle carceri, come la “battitura” delle stoviglie. Tutti aspetti che suscitano la forte preoccupazione del Quirinale: nel messaggio di fine anno il Capo dello Stato aveva parlato di dignità anche per i reclusi. Proibire, viceversa, persino di lamentarsi per le celle pollaio configurerebbe piuttosto una forma di tortura, altro che rispetto della dignità.

Ma se sul piano giuridico e costituzionale l’insostenibilità di alcune norme del ddl Sicurezza è visibile a occhio nudo, sul piano politico «può succedere veramente di tutto», come commenta una fonte di maggioranza. Ed è vero: è difficile immaginare cosa potrà accadere nelle prossime ore. Al momento di chiudere questa edizione del giornale, la “congiunta” delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali è appena iniziata. Matteo Salvini e Matteo Piantedosi non vogliono sapere di ritocchi al testo: il ddl è una delle poche leggi bandiera che il Carroccio ancora spera di poter sventolare.

Nessuna apertura ad attenuare la norma sulle madri detenute, per le quali il differimento della pena in caso di gravidanza, o quando i figli sono neonati, non sarebbe più un obbligo, per il giudice, ma un beneficio puramente discrezionale. La spaccatura è dietro l’angolo. Forza Italia, sul punto delle recluse con figli neonati, aveva tentato, durante la prima lettura della legge, l’ottobre scorso alla Camera, di mitigare fino all’ultimo il testo. Finì per arrendersi. Ora vuol riprovarci.

Ma Maurizio Gasparri, capogruppo di FI al Senato, fa capire molto chiaramente che la strada per un restyling del ddl Sicurezza passa per una «disponibilità delle opposizioni a collaborare, e a smetterla una volta per tutte con l’ostruzionismo. Se si tratta solo di perdere tempo, allora le modifiche diventano impossibili». In altre parole, si procede anche con un dialogo fra centrodestra e gruppi di minoranza solo se questi ultimi rinunciano ai 1500 emendamenti consegnati ad Alberto Balboni, il senatore di FdI che presiede la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama e conduce i lavori. È una condizione in effetti ineludibile, quella a cui pensa Gasparri, anche considerato che, almeno su alcuni degli aspetti controversi, la Lega potrebbe votare contro le modifiche.

È chiaro come uno scenario simile rischia di portare a una frattura più profonda di quanto si potesse immaginare, nella maggioranza. «Il testo va approvato senza modifiche», insiste il capo dell’altro gruppo parlamentare leghista, il deputato Riccardo Molinari. La pensa così ovviamente il suo omologo del Senato Massimiliano Romeo. Ma intanto da Palazzo Chigi, e in particolare dal sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, l’indicazione ai parlamentari meloniani arriva chiara e nitida: alcune modifiche sono necessarie.

Si fanno due ipotesi, che andranno messe in pratica al più tardi nella serata di oggi, quando è prevista l’altra congiunta in notturna: emendare le parti controverse, con l’impegno di arrivare all’inevitabile terza lettura di Montecitorio con tempistiche velocissime, o addirittura stralciare gli articoli più delicati e trasferirli in un decreto legge, in modo che il resto del ddl Sicurezza non abbia bisogno di tornare alla Camera e possa essere licenziato di qui a pochi giorni dall’aula del Senato.

L’ipotesi dello stralcio e del riassorbimento di alcune norme, rivedute e corrette, in un altro vettore legislativo è, da una parte, così indigesta per Salvini da apparire lunare. Sarebbe d’altra parte molto “pratica”, in virtù di un dettaglio non trascurabile: gli uffici di Carlo Nordio, ministro della Giustizia, sono già all’opera sul cosiddetto (impropriamente) scudo penale per le forze dell’ordine. Si tratta delle tutele processuali invocate dalla stressa premier Giorgia Meloni dopo il caso del maresciallo Luciano Masini, accusato di eccesso colposo di legittima difesa per aver ucciso a Rimini un egiziano che aveva appena accoltellato quattro persone.

La soluzione tecnico-giuridica, molto complessa e ritenuta anzi ad alto rischio di incostituzionalità da diversi studiosi, consisterebbe nel prevedere che quando la condotta di un agente è manifestamente connessa all’esercizio delle funzioni, l’inchiesta sia aperta a carico di ignoti, in modo da non iscrivere nel registro degli indagati il carabiniere o il poliziotto, che in casi del genere rischiano la sospensione dal servizio.

Fonti di governo ieri hanno esplicitamente confermato che il tentativo si farà, e hanno anche ribadito come non sia certo questa la materia che tiene in sospeso il ddl Sicurezza: lo “scudo” sarà oggetto, appunto, di un decreto a parte. Lì potrebbero finire, in teoria, pure gli stralci della legge cara a Salvini e a Piantedosi. Ma se andasse così, potrebbe aprirsi, nel governo, una crisi politica mai vista prima.