«Facciano chiarezza. Una volta per tutte. La legge che fissa la durata massima delle intercettazioni in 45 giorni, salvo l’emergere di spunti investigativi specifici e concreti, non indebolisce le indagini. Introduce semplicemente un principio di equilibrio, di ragionevolezza, e di contrasto degli abusi». Tommaso Calderone è il capogruppo di FI in commissione Giustizia alla Camera ed è anche, insieme con la collega di FdI Carolina Varchi, relatore della cosiddetta legge Zanettin, il provvedimento sugli “ascolti” approvato a Palazzo Madama e per il quale oggi scade, nella seconda commissione di Montecitorio appunto, il termine degli emendamenti. È l’altro versante della giustizia, per il centrodestra. Distinto sia dalla separazione delle carriere, che ha rango costituzionale, sia dal decreto “anti- gogna” di due giorni fa, varato in versione ultralight. Qui, con Calderone e i limiti sulle intercettazioni, siamo invece nel pieno della trincea, nella battaglia sulla meccanica del procedimento penale. «E le opposizioni, dal Pd ai 5 Stelle, lanciano attacchi totalmente strumentali. Bollano la legge sui 45 giorni come un sabotaggio delle indagini. Laddove si tratta di un provvedimento dall’ispirazione chiarissima, basata su un quesito molto semplice: ha senso continuare a intercettare un cittadino, a violare un diritto costituzionalmente garantito qual è la riservatezza delle comunicazioni, nel momento in cui, dopo due proroghe di 15 giorni, dopo un mese e mezzo di monitoraggio costante sulla vita di quella persona, non emerge nulla, ma proprio nulla, neppure il minimo spunto investigativo? Io davvero sarei curioso di trovare qualcuno che, seriamente, possa sostenere l’opportunità, di andare avanti, in casi del genere».

Pd e M5S, come Avs, fanno il loro mestiere di opposizione. Ma di fatto assecondano anche la cultura, l’idea distorta del nostro sistema secondo cui le Procure devono poter disporre di qualsiasi strumento pur di dare la caccia ai “cattivi”, ai corrotti, ai malfattori. Il fine giustifica sempre i mezzi dei pm: è questa la logica. «Il fine giustifica i mezzi è una frase che fa a cazzotti con lo Stato di diritto», ribatte Calderone, «è la negazione di una civiltà basata sulle garanzie costituzionali. Non la si può neppure sentire.

I mezzi dei pm vanno commisurati al diritto alla riservatezza. Questo naturalmente vuol dire che anche in una legge del genere era giusto escludere il limite dei 45 giorni per i reati di mafia e terrorismo, fenomeni criminali per i quali resta tutto invariato». Idem dicasi per i casi da codice rosso, almeno nei propositi della maggioranza. Ma con la proroga delle intercettazioni subordinata all’emergere di elementi concreti si stronca anche la “pesca a strascico? «A voler essere precisi, sarà impedito non tanto lo strascico ma la distorsione delle cosiddette intercettazioni esplorative: io continuo ad ascoltare anche se non trovo nulla, vado avanti a oltranza e vediamo se prima o poi esce qualcosa... Il risultato, spesso, è che non si trova comunque nulla ma intanto si tiene sotto controllo la vita delle persone anche per anni. Non parliamo del trojan, che arriva fin dentro la camera da letto. Vi sembra normale?».

Ma la legge dei 45 giorni, fa notare il relatore del provvedimento, «prima di tutto stronca la prassi, intollerabile, delle autorizzazioni- prestampato». Chiediamo a Calderone di spiegarsi meglio: «Chi frequenta veramente gli uffici giudiziari sa a cosa mi riferisco: con l’attuale disciplina il gip non controlla, dice sì alla richiesta di proroga avanzata dal pm senza verificare alcunché. Utilizza di fatto un modulo autorizzativo standard. Lo firma e amen. Ma nel momento in cui dovrà verificare, come prevede la legge sui 45 giorni, se nel periodo precedente siano emersi, dalle intercettazioni, elementi tali da giustificarne il prosieguo, dovrà motivare una valutazione del genere».

Il punto è capire se l’opinione pubblica sia pronta a un paradigma in cui il pm non è più la figura alla quale tutto è consentito in nome di un bene, o meglio di una “illegalità superiore”. «Credo che la consapevolezza, tra i cittadini, si sia rafforzata. In tanti, a migliaia, finiscono nelle maglie della giustizia penale da innocenti. Naturalmente compito della buona politica è informarli, i cittadini. Informarli bene. E a proposito di diritti, l’altro provvedimento che personalmente porto avanti è quello sul potere di scartare le intercettazioni irrilevanti. Nei fatti, questa discrezionalità oggi è nelle mani della polizia giudiziaria. Va trasferita, e sul serio, al pm. Io difensore potrei trovarmi a scoprire l’esistenza di un’intercettazione che dimostra l’assenza di responsabilità per il mio assistito quando c’è già stata la galera e, magari, il rinvio a giudizio».

Resta l’impressione che il resto della maggioranza non sia sempre in linea col garantismo azzurro: sono stati i meloniani, per esempio, a prefigurare un ritorno al Senato della legge Zanettin per inserirvi l’eccezione sui reati da codice rosso. «Ma abbiamo immediatamente trovato la soluzione: approvare la norma sul codice rosso in un provvedimento diverso, in modo da licenziare la proposta sui 45 giorni in via definitiva senza un’ulteriore lettura. A gennaio sarà legge dello Stato. Noi di FI siamo sempre in prima linea, come sulla separazione delle carriere. Ma sullo schema che coniuga sicurezza e garanzie per il cittadino, siamo tutti d’accordo».