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GIORNALISTA
«Ormai siamo all’ultimo tiro di dadi». Una fonte della delegazione inglese definisce così la situazione degli estenuanti negoziati sulla Brexit. Per il 31 dicembre tutto dovrà essere deciso, compresi i vari via libera nazionali da parte dei 27 e il conto alla rovescia ha assunto toni drammatici.
I bookmakers inglesi, abituati ad accettare scommesse su qualsiasi tema senza troppi scrupoli, questa volta non si sbilanciano troppo. Tendono vagamente a credere, ma senza molta convinzione, ad un accordo sul filo di lana. Ma anche questa loro indecisione è un simbolo chiaro di una sconfitta. Per tutti. Per Londra innanzitutto, ma anche per il Vecchio continente.
Eppure, la decisione che verrà presa nei prossimi giorni o forse addirittura nelle prossime ore segnerà un cambiamento con pochi precedenti nella storia europea e segnerà, nel bene e soprattutto nel male, i destini inglesi e quelli europei per molti anni a venire. Gli equilibri geopolitici globali, che già vengono smantellati ogni giorno nell’era della globalizzazione, subiranno un nuovo duro colpo, probabilmente irreversibile.
Il Regno Unito è già uscito formalmente dall’Unione europea e adesso sta per scadere anche l’anno di transizione che Ue e Londra si erano dati per trovare le nuove regole di convivenza e per gestire i nuovi rapporti. Ma, a una manciata di giorni dal traguardo finale e dopo dopo dodici estenuanti mesi di inutili trattative, le due parti si trovano su posizioni contrapposte e se la logica avesse un senso, nessuno scommetterebbe un centesimo sulla possibilità di trovare un accordo all’ultimo metro. Però si sa: le vie della diplomazia, in particolare quella europea, sono infinite e la storia recente ci regala molti esempi di soluzioni uscite fuori dal cilindro a tempo ormai scaduto. La situazione è davvero difficile. Ufficialmente sono due i punti ancora da chiudere: i diritti europei per la pesca nelle acque territoriali britanniche, soprattutto vicino alla coste scozzesi; e le regole sui commerci, con Bruxelles - da una parte - che spinge affinché Londra continui a rispettare le regole comunitarie per evitare una concorrenza ‘ sleale’, e Londra - dall’altra - che continua a rispondere picche rifiutando eventuali lacci e lacciuoli europei.
In realtà i problemi sono molti più grossi di quanto già siano questi due delicati argomenti. In questa fase, ad esempio, non si parla più della questione dei confini fisici tra la Repubblica di Irlanda e l’Irlanda del Nord. Il problema sembra rimosso. Eppure, se Londra insisterà a ripristinare la frontiere assisteremo sicuramente al ritorno della antiche tensioni tra cattolici e protestanti, tra Belfast e Londonderry, con tutte le facilmente immaginabili conseguenze del caso.
Ma i problemi veri sono altri. L’Europa e il Regno Unito si giocano, in questa fase, una fetta importante del proprio futuro. Bruxelles non vuole cedere perché vuole dimostrare ai Paesi riottosi dell’Europa orientale, e non solo a loro, di avere polso e politiche comuni. Qualcuno, leggi Parigi, vuol far pagare a Londra l’atteggiamento di questi anni facendo capire a tutti che chi esce dall’Europa alla fine ha e avrà sempre la peggio.
Boris Johnson, la cui popolarità è in calo costante anche all’interno del suo partito, ha fatto della Brexit la sua battaglia personale e non può rimangiarsi le promesse consegnate ai cittadini britannici. Le sue difficoltà sono aumentate dopo le elezioni americane. Gli mancherà la sponda di Trump che spinse molto affinché Londra uscisse dall’Europa, mentre Biden ha una posizione totalmente opposta.
Non è un caso che, proprio in questi giorni, Londra abbia dato il via, primo Paese al mondo, ad una sistematica campagna di vaccinazioni contro il Covid mentre l’Europa appare più cauta e l’Agenzia europea per i farmaci ( Ema) attenda ancora i dati completi dei processi di sperimentazioni dei vari vaccini giunti ormai alla fine del loro percorso.
Le autorità inglesi hanno sottolineato la differenza di velocità su un argomento molto sensibile per tutte le opinioni pubbliche europee, proprio per rimarcare il fatto che star fuori dall’Europa conviene e che la ‘ burocrazia’ di Bruxelles rimane una palla al piede per le velleità della nuova Gran Bretagna di Boris Johnson. Siamo evidentemente di fronte ad un chiaro esempio di ‘ propaganda’ da parte di un Governo che si sente messo alle strette.
Al numero 10 di Downing Street sanno benissimo che l’uscita dall’Europa con un no deal rappresenterebbe un autentico bagno di sangue per l’economia inglese e avrebbe ripercussioni immediate nella vita quotidiana dei sudditi di Sua Maestà a cominciare dagli approvvigionamenti nei supermercati e nelle farmacie. Le cose andrebbero un po’ meglio per l’Europa, ma anche in questo caso le ripercussioni sulle economie dei Paesi membri dell’Ue sarebbero molto serie e si aggiungerebbero alle enormi difficoltà portate della pandemia.
Un colloquio telefonico tra Johnson e Ursula von der Leyen di giorni fa non ha risolto nulla. ieri sera il primo ministro britannico è piombato a Bruxelles poche ore prima dell’inizio del vertice dei 27 capi di Stato e di governo europei per un ultimo disperato tentativo di conciliazione. Le parti si preparano alla rottura, ma nessuno in realtà riesce a credere che il Regno Unito e l’Europa decidano di prendersi per mano per buttarsi insieme in fondo al burrone. Eppure un piede è già nel vuoto.
ultime concitate manovre per evitare il baratro
IL PREMIER BRITANNICO IERI SERA È PIOMBATO A BRUXELLES PER UN ULTIMO E DISPERATO TENTATIVO DI CONCILIAZIONE. LE PARTI SI PREPARANO ALLA ROTTURA, PERÒ NESSUNO RIESCE A CREDERE CHE LONDRA E LA UE DECIDANO DI PRENDERSI PER MANO PER BUTTARSI INSIEME IN FONDO AL BURRONE.
MA LA REALTÀ È CHE UN PIEDE È GIÀ NEL VUOTO