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Chissà se sono stati catalogati davvero tutti. Nell’archivio di Radio Radicale, se si digita il nome: Massimo Bordin, compaiono ben 1.109 “pagine”. Già questo dà l’idea di come Bordin e Radio Radicale siano un qualcosa di inscindibile. Lo ricordano tutti per la conduzione, unica, di “Stampa e regime”, la rassegna dei quotidiani condotta per oltre un decennio, dal lunedì al lunedì al venerdì. Ingiusto tuttavia “inchiodare” Bordin alla sola rubrica in cui eccelle, curata con rara acribia e sapiente gusto dell’ironia. Ingiusto anche “inchiodarlo” alle domenicali, fluviali, conversazioni con Marco Pannella, due ore in diretta, senza reverenze e pudori, a parlare di tutto, su tutto: passato, presente, futuro. Un’impresa, tenere testa a Pannella. Non so se quella di Marco era reale amnesia, o una piccola provocazione, ma s’intestardiva a dare solo il nome di battesimo, delle persone citate. Ecco un logorante slalom: se cita Bettino o Giulio, il gioco è facile; ma se si arriva a Vittorio, ce ne vuole per capire: intende il vecchio rivoluzionario comunista Vidali, o Foa? Umberto può essere solo Terracini; ma Gianna (Preda)? Fausto (Gullo)? Giano (Accame)? E “Bobo”? No, non è Maroni della Lega, si riferisce a Guido Rossi, vecchio sodale dell’Unione Goliardica Italiana… Pannella, che vuole sempre l’ultima; e Bordin che gliela concede, ma con lo sberleffo di Bertoldo, che costretto a inchinarsi dinanzi al re, lo fa porgendogli le terga… Anche qui, meglio lasciar ad altri il ricordo dello storico scazzo, la clamorosa rottura in diretta: undici anni di ininterrotta direzione dell’emittente e come un fulmine a ciel sereno Bordin proclama che non c’è più il rapporto di fiducia, con Pannella, l’editore; di conseguenza si dimette. Lo stesso Marco resta di stucco, nega, una delle rare volte che resta senza parola… Comunque Bordin non abbandona del tutto la radio. “Semplicemente” si “limita” a fare il giornalista che è sempre stato: fino all’ultimo cura gli speciali giustizia, un cult per avvocati e operatori del diritto che hanno la possibilità di ascoltare integralmente le udienze dei processi; le conversazioni-analisi dal Medio Oriente con Fiamma Nirenstein; scandaglia il pianeta Stati Uniti, con Giovanna Pajetta. Trova il tempo per redigere una quotidiana rubrica di sapido commento per Il Foglio, “Bordin Line”; e quando ne viene richiesto, editoriali per i giornali della catena Monti, e Panorama. Il tutto condito da un’intensa attività di moderatore e partecipante a dibattiti e manifestazioni, presentazione di libri, che legge accuratamente e postilla: preciso, puntuale, lavora di fioretto: ti infilza e gli dici anche grazie… Non si risparmia davvero. Memorabile il suo ultimo intervento il 22 febbraio 2019, all’ottavo congresso del Partito Radicale. Un lucido, implacabile “J’accuse”, quello di Bordin, già segnato dalla malattia, stanco ma non domo: «Questi - sillaba parlando della posizione assunta dal governo Lega-M5S nei riguardi della Radio Radicale - non vogliono fare sentire quello che succede in Parlamento, a questi gli dà fastidio che si senta che il Parlamento discute una legge finanziaria che non è depositata. Questo sono, questo inevitabilmente la diretta dal Parlamento dimostra, questo non vogliono far sentire, per questo ci vogliono chiudere». Fama di disincantato che ti osserva stando di lato, è membro di quella comunità che Giuseppe Prezzolini chiamava “apoti”, quelli che “non la bevono”. Non bevono, s’intende, la versione ufficiale, la verità confezionata ad arte; ma neppure insegue le fantasie di retroscenisti incapaci di scorgere la “scena” reale, le ubbie di dietrologi che costruiscono labirinti in cui si smarriscono. Bordin, non a caso laureato in filosofia è intriso di quel cinismo che costituisce la cifra dei pensatori greci di questa “corrente” di pensiero: tende all’autonomia spirituale. Non al punto di escludere ogni desiderio e ogni esigenza; si guarda bene dal condannare la civiltà con le sue conquiste. Ma osserva, e “vede” con occhio disincantato e partecipe insieme; sa dov’è e cos’è il gusto del sale. Una decina d’anni fa il riconoscimento più gradito, il “Premiolino”. Il cliché vuole Bordin con l’eterno sigaro in bocca; tossicchiante; un po’ curvo; una eleganza ricercata e un’apparente, trasandatezza come certi personaggi dei film americani in bianco e nero; la parlata lenta, riflessiva; una cultura che nulla concede al nozionismo, “figlia” di buone, selezionate, letture; la battuta salace, che fulmina; la memoria di ferro. Si aggiunga una rete di conoscenze non comune, coltivata fin dai tempi dell’università, la mai rinnegata militanza nella IV Internazionale trotskista. Se ne va con discrezione; con dolcezza affida al Foglio del 2 aprile un ultimo pensiero di tenerezza struggente: «Capita a volte, la sera, quando si è troppo stanchi o troppo innamorati, di forzarsi a vedere in tv qualcosa che non si era messo in conto…». Si intuisce che da quel programma nasce poi una discussione, un confronto; e Bordin ha un’opinione evidentemente non condivisa, c’è qualcosa che non gli torna; ma, conclude, «vilmente ho taciuto». In quel tacere che non ha nulla di vile, c’è l’essenza di un Bordin capace di delicatezze che spiazzano; e indovini che c’è un altro Bordin, oltre quello che credevi di aver conosciuto, che solo pochi hanno avuto la fortuna e il privilegio di conoscere e apprezzare. Che la terra ti sia lieve, Massimo.