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«Le pallottole diventano tre. Uno a testa». «Avvocato io arresterei pure te». «Dovreste andare in galera tutti e 3». Sono solo alcuni dei commenti offensivi e minacciosi rivolti a Gianluca Garritano, difensore di Moses Omogo Chidiebere, e Teresa Gallucci, difensore di Rosa Vespa, i due coniugi arrestati nei giorni scorsi a Cosenza per il rapimento di una neonata. Ma non solo: l’odio social ha colpito anche procura e gip, colpevoli di aver chiesto e disposto la scarcerazione dell’uomo, risultato estraneo, stando alle indagini, al rapimento, orchestrato e messo in atto dalla sola donna, che ha subito confessato scagionando il marito.
Nulla da fare: il tribunale social - che ha anche censito i due, collegando inspiegabilmente il gesto alla loro simpatia per la sinistra e per l’eurodeputato Mimmo Lucano - ha subito stracciato gli atti d’indagine, stabilendo non solo la colpevolezza di entrambi, ma anche quella dei loro legali, di procura e Tribunali, colpevoli di non aver assecondato la sete di gogna che ha coinvolto tutta Italia.
«Ma io mi domando e dico davvero ci sono avvocati che difendono degli esseri così? Io come minimo gli avrei dato 20 anni anche all’avvocato vorrei proprio vedere se gli rubassero una figlia appena nata a lui o a qualcuno della sua famiglia se avrebbe il coraggio di difendere ancora delle persone così», scrive un utente social sotto la notizia della scarcerazione dell’uomo. «Avvocato volessi affogato tu e Moses… Il palo di denari viene prima in tutto», replica un altro. «Sei più indegno di loro», si legge ancora, mentre i giudici vengono etichettati come «luridi», al pari del pm che, caso quasi raro, ha chiesto l’immediata scarcerazione dell’uomo alla luce dei chiari indizi che escludevano il suo coinvolgimento.
Nulla di nuovo, data la tendenza a identificare difensore e indagati e a saltare il processo, bastando il solo arresto a sancire la colpevolezza. Una degenerazione del processo mediatico alla quale la stampa, soprattutto locale, ha tentato di porre rimedio, analizzando non solo la posizione di Moses, ma anche le possibili ragioni psicologiche dietro il gesto della donna, ottenendo, però, una reazione ancora più feroce dalla folla, indignata per la «scarsa empatia» dimostrata.
Una folla che per giorni ha potuto contare sullo spettacolo senza limiti di atti di un’indagine ancora in corso pubblicati ovunque: dal video all’interno della clinica, quando la bambina è stata portata via, ai messaggi scambiati tra marito e moglie, con tanto di riprese dall’interno della casa di Rosa Vespa - che per mesi ha simulato una gravidanza -, dove la famiglia l’attendeva per festeggiare quello che credeva essere un loro piccolo familiare. Materiale dal quale si ricava l’estraneità dell’uomo dalla vicenda, ma non per il pubblico da casa, intenzionato ad applicare la legge del taglione su tutti.
Sulla vicenda sono intervenuti la Camera penale e il Coa di Cosenza. «Giustizia in nome del popolo o giustizia del popolo? La domanda iniziale è cruciale: il verdetto della folla può essere considerato giustizia? Duemila anni fa, a Gerusalemme, una folla urlò il celebre “crucifige”. Non si trattò di giustizia, bensì di un’esecuzione sommaria, un linciaggio. La folla non cerca giustizia. La folla brama vendetta - hanno evidenziato i penalisti guidati da Roberto Le Pera -. Alla folla non interessano le regole del diritto, né la presunzione di innocenza. Pretende un colpevole, subito e a prescindere dal processo. È essenziale chiarire: tutti noi vogliamo che le persone offese ricevano una tutela adeguata. Tuttavia, è altrettanto fondamentale ribadire l’assoluta necessità di rispettare la Costituzione, i suoi principi e le sue garanzie. La presunzione di innocenza e il diritto di difesa sono pilastri intangibili del nostro ordinamento».
«Il Tribunale del Popolo - si legge in una nota del Coa guidato da Ornella Nucci - non solo ha già emesso nei confronti della coppia il proprio verdetto – non importa se assolutorio o di condanna – ma sta esprimendo giudizi poco lusinghieri nei confronti degli avvocati Teresa Gallucci e Gianluca Garritano, i quali, avendo ricevuto mandato difensivo, stanno semplicemente svolgendo il loro dovere: quello di assicurare la migliore difesa ai propri assistiti, nel rispetto dell’articolo 24 della Costituzione, che espressamente prevede: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”». Da qui la solidarietà ai due avvocati, ai quali il Coa «assicura la propria vigile presenza, con la simbolica assunzione della difesa degli indagati da parte dell’intero Consiglio».