Sfilata di sindaci nel processo sui presunti affidi in Val d’Enza, nelle ore che hanno preceduto l’abolizione definitiva del reato di abuso d’ufficio. In aula sono comparsi i sindaci che facevano parte della giunta dell’Unione e che hanno approvato la delibera che dava vita al progetto “La Cura”, finalizzato ad offrire un servizio di psicoterapia del trauma in quel momento assente sul territorio per carenza di specialisti.

Per la procura, quella delibera - che destinava i locali di via Roma a Bibbiano alla Cura non avrebbe previsto oneri aggiuntivi per l’Ente al di fuori di quelli del canone di locazione.

Secondo tale interpretazione, dunque, la psicoterapia non avrebbe dovuto rappresentare un peso economico ulteriore. I sindaci ascoltati in aula hanno però chiarito che quella delibera era relativa alla sola destinazione dei locali, che già l’Ente aveva preso in affitto per scopi sociali, ai quali, con quell’atto, veniva aggiunto anche il progetto La Cura. A chiarire bene il punto Paolo Burani, sindaco di Cavriago ed ex presidente dell’Unione, e Paolo Cervi, sindaco di Campegine dal Maggio, che hanno sottolineato come tutti fossero consapevoli che la psicoterapia era affidata a dei professionisti che, quindi, andavano pagati. Questo aspetto, hanno evidenziato, era però compito della parte tecnico- amministrativa.

E dal momento che i tecnici non avevano mosso rilievi di nessun tipo e non avevano presente particolari problemi, per i sindaci non vi era alcun motivo per sospettare della regolarità dell’affidamento del servizio. Stando al verbale di sit di Edmondo Grasselli, vicesindaco di San Paolo d’Enza, i carabinieri avrebbero indicato un inciso della delibera che chiariva l’assenza di oneri aggiuntivi.

Ma su richiesta di Giovanni Tarquini, difensore insieme a Vittorio Manes del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, il teste non è stato in grado di rintracciare, nella delibera, la parte in questione. L’unica frase, infatti, è quella relativa alla destinazione dei locali - e non dunque ad altri servizi - la quale non avrebbe creato alcun onere aggiuntivo.

«Anche da un punto di vista grammaticale è così», ha sottolineato, in effetti, Burani. Cervi ha chiarito che in giunta si parlava della attività del servizio sociale in termini positivi, date le attività svolte e i numeri, che attestavano buoni risultati. L’aumento del carico di minori seguiti dal Servizio era interpretato come segno di attenzione rispetto alle esigenze dei minori del territorio, tant’è che la giunta decise di aumentare le risorse. Alla domanda se avesse avuto dubbi sulla attività del Servizio, l’ex sindaco ha risposto che non ricorda episodi in cui fu mai messa in discussione la bontà del loro lavoro. Inoltre ha chiarito che l’esigenza di rivolgersi ai privati era determinata dall’impossibilità del servizio sanitario di intervenire.
 

Stando alle dichiarazioni del sindaco di Sant’Ilario d’Enza Marcello Moretti, infatti, i professionisti privati erano stati chiamati in causa per via della mancanza di risorse da parte dell’Asl, così come confermato anche da Burani: in quegli anni, ha spiegato, il Servizio sociale era in situazione di emergenza, fatto noto in diversi Comuni, non solo per il tema degli abusi sui minori, ma per le emergenze sociali in generale. «I nostri assistenti sociali lavoravano e tenevano gli occhi aperti», ha chiarito.

Per Burani, dunque, il progetto “La Cura” era una risposta a questa esigenza e l’Unione dei Comuni aveva deciso di fare uno sforzo in più per fronteggiare l’emergenza. La difesa dell’allora responsabile del Servizio sociale Federica Anghinolfi - gli avvocati Rossella Ognibene e Oliviero Mazza - ha depositato una mail risalente al 2013, quindi ben prima dell’arrivo di Hansel e Gretel, nella quale Anghinolfi comunicava ai sindaci dell’Unione i dati della violenza domestica in Italia: sei milioni di donne, «una escalation senza precedenti» rispetto alla quale bisognava intervenire con la prevenzione con scuole, ospedali e forze dell’ordine, altrimenti i costi sarebbero stati enormi.

Un’emergenza poi rilevata anche dalla Regione, come si evince da un’agenzia pubblicata ad aprile 2019, poco prima degli arresti: in Emilia- Romagna, dal 2010 al 2016, sono aumentati di 8mila unità i giovani con disturbi mentali, per i quali si prevedevano proprio interventi da portare avanti coi Servizi sociali. Ormai rasi al suolo.