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IMAGOECONOMICA
Uno sfogo contro la criminalizzazione dei Servizi sociali, le fake news trasformate in verità - che resistono anche alle sentenze -, un urlo contro la narrazione distorta del caso Bibbiano. Un post su Facebook, condiviso anche dal profilo del Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali, parte civile proprio nel processo sui presunti affidi illeciti.
Il post, pubblicato l’8 settembre scorso, a ridosso della ripresa delle udienze del processo “Angeli e Demoni”, porta la firma di Simona Regondi, membro del Consiglio regionale della Lombardia. Nessun legame con Claudio Foti, nessuna cointeressenza, una precisazione d’obbligo per evitare che venga accusata, per una sorta di responsabilità penale collettiva o morale, di suicidi o crimini contro i minori di cui peraltro nemmeno Foti è responsabile. Ma tanta rabbia, che sin dal 2019, anno del blitz in Emilia Romagna, manifesta contro chiunque abbia deciso non solo di condannare gli indagati prima ancora dell’apertura di un processo - sulla base di notizie spesso distorte o false -, ma anche di criminalizzare l’intero mondo dei servizi sociali.
Nel suo lungo post Regondi tira le somme del caso Bibbiano, «l’Armageddon dei servizi di protezione dei minori». Perché, e lo abbiamo raccontato più volte su questo giornale, dopo l’inchiesta il sistema è collassato, con minacce e agguati agli assistenti sociali e l’azzeramento delle richieste d’aiuto. «Parliamo dunque di quelle colleghe e di quei colleghi, del tutto scagionati dalla magistratura della Repubblica, che hanno dovuto vendere la casa e contrarre debiti per potersi assicurare una difesa legale - scrive Regondi -. Parliamo di loro, che hanno ricevuto insulti e minacce e che hanno temuto per l’incolumità propria e dei figli, parliamo della loro professionalità ormai compromessa e difficilmente recuperabile, parliamo della loro fiducia verso l’altro, elemento indispensabile ed essenziale nella nostra professione, ormai venuta meno. Parliamo della loro fatica e depressione durate anni, di saluti tolti e di gelo tra i vicini di casa, di parole sussurrate e occhiate feroci dei genitori dei compagni di classe, di cambi di marciapiede e sguardi bassi, di un sentimento di "fuori posto" senza nessuna ragione».
Il processo è ancora in corso, ma alcuni risultati sono già chiari: Claudio Foti, ad esempio, non ha commesso alcun reato, non ha provocato nessun disturbo, non ha causato il suicidio di nessuno, sebbene si continui ad associarlo a casi ai quali non ha nemmeno mai lavorato. Inoltre, le emergenze processuali - che i grandi media e gli influencer, volontariamente, ignorano - sono tutt’altro che favorevoli, al momento, all’impianto accusatorio. Tant’è, scrive Regondi, che emergerebbe chiaramente «che il sistema dei servizi di protezione dei minori stava lavorando al meglio proprio per proteggere i bambini». Non lupi, dunque, ma lupe a protezione dei piccoli, «anche a costo di scontrarsi con il capobranco».
Ma se il processo è ancora in corso e le verità giudiziarie tutte da scrivere, quello che non si arresta mai e che non segue alcuna regola è il processo mediatico, basato «sulle parole di chi non ha elementi per valutare ma ha immagine e voce per giudicare e questa voce la usa, male, a sproposito, con l’intento di annientare e radere al suolo i servizi di protezione dell’infanzia. C’è da chiedersi il perché». Le risposte, al momento, non ci sono. O forse sì: l’inchiesta è stata sfruttata nel tentativo di avvalorare e introdurre nelle aule di Tribunale teorie antiscientifiche - come certificato dalla Cassazione -, dannose, che proprio in quel periodo storico le destre provavano a trasformare in legge, come la sindrome di alienazione parentale.
Ma se questo - ancora - non si è trasformato in realtà, una riforma c’è stata e, sottolinea Regondi, «ha di fatto chiesto ai servizi di lavorare con la clessidra in mano, dimenticandosi tuttavia che il primo obiettivo dei servizi è quello trasformativo. Attivare una trasformazione delle fragilità genitoriali è l’unico modo per non rendere vano ogni intervento, ma le trasformazioni necessitano tempo, sono misurabili con parametri legati al benessere familiare, sono lente da cogliere ed accogliere. Le tempistiche invece sono misurabili, sanzionabili e controllabili, ed il controllo dei servizi, non del benessere e della qualità di vita dei minori, sembra essere l’obiettivo di questa riforma post Bibbiano». La marea di fake news sul caso Bibbiano, firmate anche da nomi autorevoli, ha dunque «indebolito l’intero Sistema di protezione dei minori».
“Angeli e Demoni”, aggiunge la consigliera del Croas Lombardia, «ha alimentato rabbia, fatto circolare informazioni false, cambiato il sentimento di fiducia verso i Servizi, portato bambine testimoni (falsi) sui palchi di manifestazioni di partito, prodotto lanci di strali da tutte, o quasi, le parti politiche. Ora che tutto si è smontato, nessuno ne parla» o quasi.
«Quando si ha a che fare con un processo mediatico, i media si elevano a suprema giuria, non esiste contradditorio, non esistono prove a difesa. Esiste solo il verdetto che resterà tale anche se un processo giuridico, quello con giudici e avvocati, dirà una cosa diversa e opposta. Nel processo mediatico la frase “chi rompe paga e i cocci sono suoi” non trova riscontro, chi rompe non paga mai e i cocci rimangono a coloro che, in fin dei conti, sono le vere vittime. E quindi parliamone, parliamo di Bibbiano, alcuni di noi sono interessati a farlo, “vi parliamo di Bibbiano”, quando volete e questa volta senza fake news o confirmation bias».