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Nessun tentativo di isolare K. o di allontanarla dai genitori biologici e nessuna denigrazione delle loro figure. Tanto è emerso in aula a Reggio Emilia dalle sei testimonianze ascoltate oggi in aula nel processo sui presunti affidi illeciti, dove è stata analizzata la posizione delle due donne che avevano in affido la minore allontanata dopo essere stata lasciata da sola dai genitori e che aveva chiamato i carabinieri per chiedere aiuto. Le testi della difesa hanno rivelato un significativo cambiamento nel comportamento di K., che da un iniziale atteggiamento chiuso e poco controllato è diventata progressivamente più solare e affettuosa. La prima a dichiararlo è stata la responsabile di un campo estivo gestito da Legambiente, che K. ha frequentato per due estati di fila. La prima volta è stata subito dopo essere stata affidata alle due donne (che la testimone non conosceva): la bambina quasi non parlava e si esprimeva con versi e poco altro, evitando di partecipare alle attività, limitandosi a disegnare immagini che avevano spaventato molto la teste, in quanto la bambina, con tratti di matita molto marcati, cancellava i volti dopo averli tratteggiati. La teste si era confrontata con alcuni esperti di psicologia infantile, che avevano descritto quel comportamento come sintomatico di una storia traumatica. L’anno successivo, dopo dunque un anno di affido con le due imputate, K. era una «ragazzina trasformata», ha spiegato la teste, che ha descritto la bambina come «solare» e «accogliente» nei confronti degli altri, addirittura protettiva con sua figlia, che era molto piccola. Di tale trasformazione hanno dato conferma anche gli altri testi, alcuni dei quali totalmente estranei alla cerchia di amicizia delle due imputate, ovvero la madre di una compagna delle elementari e quella di un compagno delle medie. Stando al racconto della prima, una delle due affidatarie aveva descritto il suo ruolo come un «ponte» nella vita di K., per aiutarla a superare la difficile fase vissuta con la sua famiglia biologica, con la quale si cercava comunque di mantenere un collegamento, in contrasto con la tesi dell’accusa secondo cui le affidatarie tentavano di recidere i rapporti tra le due parti. Appena arrivata in classe, alle elementari, la bambina era stata descritta dalla figlia della teste come «un po’ turbolenta e intrattabile», una bambina che diceva molte parolacce e quasi incontenibile, anche dal punto di vista fisico. «Non si riusciva a parlarle», ha spiegato, ma nel corso di pochi mesi «mia figlia mi ha riportato di un cambiamento al punto che non solo erano diventate amiche, ma mi chiedeva di invitarla a casa», elemento in contrasto con la tesi secondo cui le affidatarie escludessero K. dalle relazioni sociali con l’esterno o avessero paura di qualsiasi cosa. Secondo la teste, non solo K. aveva una vita sociale «normale», ma le due affidatarie «cercavano di creare occasioni per frequentare altri bambini della sua età e partecipare ad eventi sociali».
Le due affidatarie «davano il meglio di sé, impegnandosi al massimo e ottenendo rapidamente una trasformazione nella ragazza, che mostrava affetto e felicità nelle relazioni con loro». Un cambiamento radicale resosi ancora più evidente l’anno successivo, tanto che la teste ha «fatto i complimenti alle due affidatarie per quello che avevano realizzato con K.». La teste ha inoltre affermato di non aver associato le notizie di stampa sull’inchiesta alla vicenda delle affidatarie: «Davo per scontato che non fossero loro, era impossibile, perché la storia che avevo vissuto in quei due anni di scuola elementare non corrispondeva a quella che leggevo sui giornali», ha spiegato. Una volta compreso che poteva trattarsi di loro «mi sono rifiutata di continuare a leggere, perché trovavo inaccettabile quella rappresentazione», così come il fatto che l’indagine fosse diventata «terreno di scontro ideologico» per la politica. L’altra mamma ha riferito sul tema dell’uso del pc alle scuole medie, confermando la visione, in aula, di video pornografici e violenti, tema che era stato affrontato dai genitori anche in una chat whatsapp e del quale le famiglie si erano lamentate con la preside. Era stato lo stesso figlio a comunicare alla donna della visione di tali video, così come degli episodi di bullismo. «La scuola aveva promesso di farsi carico di questi problemi - ha aggiunto -, ma le cose poi non sono cambiate». Non si trattava, dunque, di una paranoia delle due affidatarie, ma di un problema avvertito da tutti i genitori, così come la scarsa vigilanza della scuola all’uscita: i bambini, infatti, arrivavano in strada senza nessun controllo, tema che anche in questo caso i genitori avevano posto ai dirigenti scolastici. La pm Valentina Salvi ha sottolineato che le due affidatarie vietavano a K. di andare da sola nel parco. La testimone ha però dichiarato di condividere questa precauzione, preoccupata per l’incolumità del figlio. La teste ha confermato il coinvolgimento di K. nelle occasioni sociali, raccontando che K. era stata lasciata andare da sola con gli insegnanti e altri genitori a sostenere l’esame di fine anno fuori sede, senza nessuna preoccupazione sul fatto che non fossero lì a vigilare. Tra le donne e K., ha poi evidenziato, c’era «una reazione di affetto evidente, era una famiglia come le altre».
Tutte le testimonianze hanno confermato che K. era inizialmente oppositiva, molto chiusa e “resistente” alle regole che le venivano date, rendendo difficile una comunicazione con lei, che tendeva a «scollegarsi». Le affidatarie avevano un approccio «dialogante» e spesso chiedevano consigli alle amiche con figli per capire se il loro comportamento fosse adeguato. Successivamente la ragazza è cambiata ed è diventata più allegra. Così come lo era il giorno del matrimonio delle affidatarie, a dispetto di alcuni disegni in cui scriveva di sentirsi «poco considerata»: secondo le testimonianze, infatti, K. quel giorno era «felicissima», praticamente «la regina della festa», interpretando quel disegno come «paura che il matrimonio potesse significare un abbandono». La ragazzina, inoltre, cercava sempre di ottenere l’attenzione degli adulti, soprattutto se erano presenti altri bambini, a volte con un atteggiamento «seduttivo», anche se non in termini «sessualizzati», ma come tentativo di «attirare l’attenzione».
Alcune delle teste hanno dichiarato di aver saputo che c’era il sospetto di un’attività di prostituzione da parte della madre naturale, informazione che era stata riferita dai servizi sociali alle affidatarie e che erano stati gli stessi genitori biologici a comunicare al perito Giuseppe Bresciani, mentre una di loro ha riferito di aver saputo che il padre aveva «giri loschi» - era stato condannato per rapina, come emerso nel corso del processo, e denunciato per minaccia aggravata. «Come emerge dalle intercettazioni - ha spiegato al Dubbio l’avvocato Andrea Stefani, difensore delle due donne insieme a Valentina Oleari Cappuccio - le affidatarie non hanno mai riportato alcuno di questi elementi alla bambina e il solo tema della possibile attività di prostituzione della madre era emerso nel corso della psicoterapia con la dottoressa Bolognini, dove era stato però portato dalla stessa K. come un suo dubbio personale. Vi è da dire che era stata la stessa madre della ragazzina a dichiarare di svolgere tale attività, sia il giorno dell’allontanamento di K. da casa, quando lo aveva riferito alla responsabile dei Servizi sociali, sia successivamente al perito Bresciani, al quale aveva detto che era stato il padre di K. a costringerla a prostituirsi. A quello stesso perito il padre di K. aveva invece dichiarato di aver saputo che in passato la moglie si prostituiva. Ma in nessun contenuto scritto, in nessuna comunicazione tra le affidatarie e K. emerge alcun riferimento a questi possibili vissuti nella famiglia biologica. Se avessero davvero voluto, dolosamente, recidere quel legame affettivo tra K. e la famiglia biologica avrebbero potuto usare questi temi, ma non c’è un solo passaggio in cui ciò emerga. Anzi, le affidatarie intendevano agire da ponte tra la bambina e la sua famiglia biologica.