Se c’è una certezza nel processo Angeli e Demoni sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza è che ad ogni udienza ci sarà un colpo di scena. Un copione rispettato perfettamente anche ieri, quando sono stati diversi i momenti di tensione tra accusa e difesa. Il collegio presieduto da Sarah Iusto ha rigettato l’eccezione delle difese sulla indagabilità di Anna Maria Capponcelli, consulente tecnica d’ufficio presso il Tribunale dei minori di Bologna, la cui perizia, nel caso del piccolo N., secondo l’accusa sarebbe stata viziata dalle informazioni false fornite dai servizi sociali.

La testimonianza di Capponcelli ha però riservato non pochi colpi di scena: in primo luogo, la teste ha riferito di aver chiarito più volte, a domanda dei Carabinieri, che le presunte false informazioni non avrebbero influito sulla perizia, dal momento in cui il suo compito era quello di valutare non la credibilità sostanziale ma quella clinica del bambino.

In secondo luogo, a smentire la tesi accusatoria sono diversi elementi: la registrazione effettuata dalla stessa Capponcelli durante un incontro con l’assistente sociale Francesco Monopoli ( difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro), una telefonata di Monopoli quando le intercettazioni erano già state attivate e una mail - spedita a Capponcelli e poi inserita anche nel fascicolo dei minori - nella quale l’assistente sociale la informa della fissazione dell’udienza di opposizione all’archiviazione nel procedimento a carico dei genitori di N., informazione che, secondo la pm, Monopoli avrebbe invece taciuto.

La pm Valentina Salvi si è opposta, contestando l’utilizzo, da parte di Canestrini, di materiale che non era stato dato in visione all’accusa. Ma quelle registrazioni, ha contestato il legale, sono presenti nel fascicolo del pm, che non li ha mai fatti trascrivere. Capponcelli, da parte sua, ha confermato la presenza, tra i documenti a sua disposizione, della mail scovata dalla difesa. Monopoli è accusato anche di aver chiesto di allargare l’oggetto della perizia anche ai genitori, tema che, invece, era stata Capponcelli stessa a proporre. La teste - perita molto esperta - ha anche dichiarato di non aver mai avuto la sensazione di essere ingannata da Monopoli.

Su domanda della pm, la professionista ha definito suggestive le domande fatte al bambino dalla psicoterapeuta Nadia Bolognini, difesa da Luca Bauccio. Domande che la teste ha però ascoltato estrapolate dal contesto, con brevi audio, tanto da ammettere, su domanda di Bauccio, che quanto ascoltato non sarebbe bastato a definire le modalità di ascolto del minore da parte della psicoterapeuta. Modalità che comunque, ha ribadito, non avrebbero influito sulla sua relazione, risultata poi conforme alla tesi dei servizi sociali.

Ma non solo. Sono diverse le questioni tecniche sollevate nel corso dell’udienza. A partire dalla possibilità di ascoltare come consulente la grafologa (nonché avvocato) Roberta Tadiello, secondo la quale il disegno - divenuto famoso - fatto da A. avrebbe presentato l’aggiunta postuma all’altezza dell’area genitale della bambina. Un disegno - va chiarito - fornito alla stampa in verticale, ma che nella realtà rappresenta comunque un adulto disteso su una bambina su di un letto. Gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene ( difensori della responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi) hanno evidenziato che Tadiello ha effettuato la sua consulenza in un procedimento separato, ovvero quello a carico dell’ex compagno della madre di A., accusato di aver abusato della bambina. Nel procedimento “Angeli e Demoni”, però, non è mai stata nominata consulente tecnica, da qui il problema sulla veste in cui sentirla, dal momento che non c’era il consenso degli imputati ad acquisire la perizia effettuata nel procedimento “madre”. Il Tribunale ha deciso dunque di sentirla come testimone, ma solo in merito all’attività da lei svolta, senza la possibilità, dunque, di entrare nel merito della perizia. Ma c’è di più: a rendere necessario un approfondimento sarebbe la necessità di verificare se Tadiello ha svolto attività di avvocato per il padre di N. in un altro filone del processo. Un fatto scoperto per caso dalle difese grazie ad una mail scritta da una delle parti di quel procedimento, ma negato dalla stessa Tadiello in aula e sul quale le difese si sono riservate di andare a fondo ascoltando, nel corso del processo, l’autore della mail.

Altro capitolo, invece, quello relativo ad altre due consulenti della pm, Elena Francia e Rita Rossi, sulle quali Mazza, Ognibene e Cinzia Bernini ( difensore insieme ad Elisabetta Strumia dell’assistente sociale Annalisa Scalabrini) hanno sollevato due diverse questioni. La prima riguarda la natura degli accertamenti che sono stati compiuti, in quanto sia a Francia sia a Rossi è stato chiesto dal pm di accertare l’attualità della patologia psichica determinata dall’affidamento, dal distacco dalla famiglia e dalla psicoterapia a ottobre 2019, dunque nel momento del conferimento dell'incarico. Accertamenti tecnici irripetibili, ha contestato Mazza, che quindi dovevano essere effettuati nel contraddittorio con le difese. «Trattandosi di una malattia, da accertare nel 2019 in una personalità in evoluzione come un minore, gli accertamenti andavano eseguiti nella modalità degli atti irripetibili, cosa che non è avvenuta, con violazione del diritto di difesa. Il che li rende inutilizzabili». Ma c’è anche una seconda questione: le due consulenti sono state nominate nel corso del 2019, ma nel 2018 sia Rossi sia Francia avevano partecipato con la pm all’assunzione a sommarie informazioni dei minori. «A che titolo hanno partecipato - chiede Mazza -, visto che vengono nominate consulenti solo nel 2019? O erano ausiliari del pm, e in quel caso sarebbero incompatibili con la consulenza tecnica, o non avevano titolo per partecipare alle sit, il che rappresenterebbe una violazione del segreto».

Infine una nota tecnica: ad accertare la presunta malattia psichica non sono stati dei medici legali, ma delle psicologhe. «Parliamo proprio della diagnosi di una patologia, dal momento che gli imputati sono accusati di lesioni volontarie. Ma la malattia della mente - conclude Mazza - non può essere accertata da uno psicologo, serve un medico. Questo è un grado di approssimazione inaccettabile in una indagine penale, per di più volutamente trasformata in un caso mediatico» .