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Le giudici del processo "Angeli e Demoni"
Una bella sforbiciata ai testi della difesa, ridotti di circa nove decimi. Si stringono i tempi per il processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, meglio noto come “Angeli e Demoni”. Una scelta - ha spiegato Oliviero Mazza, difensore insieme a Rossella Ognibene dell’ex responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi - determinata dal fatto che «noi riteniamo che l’istruttoria del pubblico ministero non abbia dimostrato la fondatezza delle accuse - ha spiegato al Dubbio - e quindi, nella logica del processo di parti, non siamo noi a dover dimostrare l’innocenza, ma il pubblico ministero a dover dimostrare la colpevolezza. A questo punto i nostri testimoni sono diventati superflui. Ne abbiamo tenuti una decina su alcuni punti qualificanti sui quali, benché il pubblico ministero non abbia raggiunto la prova di colpevolezza, riteniamo che sia comunque opportuno un ulteriore contributo informativo. La scelta va incontro anche ad un’esigenza di economia processuale - ha aggiunto - per non appesantire inutilmente il processo e tornare su argomenti che sono già stati ampiamente sviscerati nella fase della dell’istruzione del pm, anche perché molti dei testi dell’accusa erano anche nella nostra lista». Solo un teste, l’ex presidente del Tribunale dei minori di Bologna Giuseppe Spadaro – ancora in forse – , per l’assistente sociale Francesco Monopoli, difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro, mentre ha rinunciato a tutti i testimoni la psicoterapeuta Nadia Bolognini, difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi, unica, tra le persone a processo, ad essersi sottoposta ad esame. Rimangono in ballo alcuni dei consulenti.
Nella mattinata di oggi sono stati ascoltati alcuni testi a discarico delle due donne affidatarie della piccola K. In primo luogo M. e E., nominati formalmente affidatari di sostegno di K., per sei mesi, nel 2017. E. ha confermato che nei primi tempi K. era una ragazzina chiusa su se stessa, incapace di comunicare, migliorando poi grazie all’esperienza con le affidatarie. Nel periodo di affido di sostegno K. aveva raccontato alcuni momenti vissuti con i genitori biologici, come quello dell’abbandono, quando la bambina, lasciata da sola a casa, ha chiamato i carabinieri. K. ha raccontato che era stato il padre a dirle «se tua madre ti lascia ancora da sola chiama i carabinieri», frase che dunque confermerebbe il ripetersi nel tempo di tale situazione. K. aveva anche raccontato inoltre che in quel periodo i genitori litigavano molto, tanto da richiedere, in un caso, l’intervento dei carabinieri. In quell’occasione, la madre aveva buttato tutto per aria, comprese alcune cose della bambina, tranquillizzata poi da un militare che le aveva promesso di aiutarla a raccoglierle. Ma non solo: la testimone ha raccontato che spesso la bambina stava da sola nel parchetto vicino casa, che non giocava con gli altri bambini e che il padre aveva rubato dei soldi alla madre, motivo per il quale, per vendetta, la donna non le faceva più da mangiare. Più di una volta, stando ai suoi racconti, K. era dunque andata da sola a cena in trattoria, dove suo padre si impegnava poi a saldare il conto. Nel periodo della separazione tra le due affidatarie la bambina raccontava di essere dispiaciuta, ma che comunque le due donne stavano gestendo bene la situazione e che le avevano fatto capire che non era colpa sua e che si sarebbero comunque prese cura di lei.
M. ha riferito su due circostanze. Dopo il blitz, K. era stata inserita in una comunità dalla quale è scappata di notte per raggiungere i genitori di una delle affidatarie. Non trovandoli in casa, si è recata a casa di M. ed E., ai quali aveva spiegato la situazione e di aver lasciato una lettera per i nonni. M. ha poi riaccompagnato K. in comunità. La bambina ha spiegato di non capire perché fosse finita lì e che avrebbe preferito rimanere con le affidatarie. In comunità, però, qualcuno – è emerso in altre deposizioni – le aveva fatto vedere i giornali con le accuse alle due donne, che K. diceva di non capire, avendo vissuto una situazione diversa da quella descritta. Ma non solo: M., poco dopo l’esecuzione delle misure, ricevette una telefonata da «un tale che si è qualificato come il maresciallo Giuseppe Milano», principale investigatore dell’inchiesta, che stando a quanto dichiarato dal teste avrebbe chiesto: «Siete voi due che avete l’affido con le due lesbiche?». Una frase, ha spiegato M., che lo colpì molto, dal momento che non aveva alcuna confidenza con Milano. Il maresciallo chiese se avesse notato qualcosa di particolare nella relazione tra K. e le affidatarie, ma M. rispose di no e che la sua impressione era che tutto andasse bene. «A quel punto mi ha detto che ci avrebbero convocato per essere sentiti a sommarie informazioni - ha aggiunto -, cosa che non è mai avvenuta».
Altra testimonianza quella di D., amico di famiglia delle due affidatarie, ed ex compagno di una testimonianza ascoltata la scorsa settimana. Ai due le affidatarie chiedevano consigli, in quanto genitori, su come comportarsi nel corso dell’affido. «Erano positivamente impegnate», ha spiegato, raccontando di aver visto solo affetto e attenzione continua nei confronti di K., tanto da farla cambiare positivamente. D. ha ricordato alcuni episodi particolari dei primi tempi: uno di sadismo nei confronti di una lumaca e uno nei confronti della sua bambina, all’epoca di soli tre anni, alla quale K. aveva rubato una bambola, staccandole la testa e seppellendola, dimostrandosi insensibile al pianto disperato della bambina. Un altro episodio a suo dire particolare era la richiesta di essere presa in braccio da lui, nonostante ci fosse una conoscenza poco approfondita. «Io ho rifiutato - ha spiegato D., - lei ha insistito molto, ma ho trovato un po’ strana questa insistenza da parte sua». Una tendenza a cercare l’attenzione maschile confermata anche da E. nella sua testimonianza. La pm Valentina Salvi ha chiesto a D. se per caso l’imbarazzo fosse legato a sospetti di abusi riferiti dalle affidatarie, circostanza che il teste ha smentito categoricamente.
Ascoltato anche il padre di una delle due affidatarie. Inizialmente, ha spiegato, la bambina aveva comportamenti «quasi animaleschi», come afferrare il piatto coprendolo con le mani per mangiare, quasi temesse le venisse rubato. La bambina non parlava e faceva disegni inquietanti, come persone con gli arti staccati ai quali cancellava i volti con un tratto di matita nero e pesante. Essendo medico, il teste ha spiegato che dal suo punto di vista quei disegni erano «da manuale di psichiatria». Inoltre, giocando con il pongo, la bambina aveva costruito un fallo, che ostentava in maniera evidente chiedendo al “nonno” se avesse visto cosa aveva fatto. «Ero un po’ allibito - ha spiegato - perché aveva 9 anni». Le cose sono cambiate col passare del tempo e i disegni violenti sono spariti: K., ad un certo punto, ha iniziato a disegnare «soli e immagini colorate». Tanto che «abbiamo fatto una specie di festa, perché sembrava davvero che iniziasse a cambiare». L’uomo ha confermato gli episodi di sadismo contro gli animali: la bambina, in un’occasione, aveva staccato le gambe a degli scarafaggi e ucciso alcune lucertole, dicendo di sapere che era sbagliato ma di «non resistere».
Il teste ha anche raccontato di aver incontrato, in piscina, uno zio di K., fratello del padre, che si era detto contento di sapere la bambina con «una brava famiglia». Lo zio aveva anche raccontato di aver detto al fratello che era disposto a prendersi cura della bambina, ma la madre aveva reagito in maniera violenta. Lo zio - che non ha mai testimoniato, al contrario di un altro fratello che ha difeso il padre di K. - aveva espresso giudizi negativi sul padre della bambina. «A me la cosa che più dispiace - ha concluso il “nonno” affidatario - è che questa bambina aveva cambiato in meglio la sua vita e aveva trovato un suo percorso di vita in cui era felice, ma qualcuno l’ha interrotto».
Nel pomeriggio è stata ascoltata una maestra della scuola frequentata da N., che ha raccontato della «continua e morbosa attività masturbatoria» del bambino a scuola. Attività che N. voleva praticare anche sugli altri bambini. La scuola ha segnalato tutto ai servizi sociali e convocato i genitori, i quali avevano riferito di non aver mai notato atteggiamenti del genere. Un’affermazione che aveva lasciato basita l’insegnante, data l’intensità di quel comportamento. Tant’è che in una relazione la scuola aveva segnalato che i genitori «sembrano essere “affettivamente poco preoccupati” ed emotivamente poco protettivi e contenitivi verso» N. «Questi - ha commentato con amarezza l’avvocato Mazza - sono i bambini di Bibbiano prima dell’allontanamento».