L’Ausl di Reggio Emilia non aveva psicoterapeuti in grado di occuparsi della psicoterapia per i casi di abuso, maltrattamento e violenza assistita. Ed è per questo motivo che l’azienda sanitaria aveva affidato alla “Hansel e Gretel”, la onlus dello psicoterapeuta Claudio Foti, l’incarico di fare formazione, a seguito di un regolare bando. Tanto è emerso in aula a Reggio Emilia nel corso del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. A dirlo è stato Gaddomaria Grassi, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Ausl, che ha assestato così un colpo ad uno degli assiomi della pubblica accusa, secondo cui il ricorso a professionisti esterni non era necessario e contrario agli interessi dell’Ente.

Grassi aveva chiarito l’assenza di professionisti esperti della gestione del trauma già in sede civile, nella causa di lavoro instaurata dopo il licenziamento di Federica Anghinolfi, dove aveva spiegato che «non c’erano all’interno dell’Ausl psicoterapeuti specializzati per il trattamento del trauma per maltrattamento e abusi».

L’Azienda sanitaria era anche interessata nel progetto “La Cura”, il centro di Bibbiano destinato all’accoglienza e alla cura dei minori vittime di violenza fisiche e psicologiche, perché rimborsava all’Unione Val d’Enza il 50 per cento delle quote affido pagate per rimborsare il costo delle psicoterapie. Dopo l’avvio dell’inchiesta Angeli e Demoni, l’Ausl ha portato a termine un bando - avviato già nell’anno 2018 - per affidare il servizio di psicoterapia all’esterno - confermando già nel corso delle indagini, dunque, l’esigenza di affidarsi a professionisti non dipendenti dall’Azienda sanitaria -, bando che fu aggiudicato ad un’altra onlus che applicava tariffe al di sotto di quelle previste – come parametro medio - dal ministero della Salute e, dunque, inferiori a quelle di Hansel e Gretel.

Le tariffe praticate da Foti comunque, come dimostrato nel processo che ha portato alla sua assoluzione definitiva, rientravano nei limiti ministeriali, rimanendo al di sotto del tetto massimo. Ma non solo: Elisabetta Negri, direttore delle attività socio sanitarie dell’Ausl, ha parlato della presenza, a Reggio Emilia, di un «caso nazionale di pedofilo che adescava minorenni in pratica sfruttando la prostituzione minorile», come chiarito a seguito di una domanda di Oliviero Mazza, difensore, insieme a Rossella Ognibene, di Anghinolfi. Una circostanza che aveva allarmato l’Ausl, che dunque aveva compreso di non essere «attrezzata per la rilevazione del fenomeno», ribaltando dunque la tesi secondo cui i casi di abuso, in Val d’Enza, erano sovrastimati. Interrogata sulle presunte pressioni di Anghinolfi per favorire Hansel e Gretel, la teste ha spiegato che la responsabile del Servizio sociale insisteva sul punto dal momento che la psicoterapia condotta in via sperimentale con La Cura aveva dato «ottimi risultati su questi minori, che erano nettamente migliorati». Non un interesse di tipo economico o ideologico, dunque, ma un interesse alla cura dei minori.

Lunedì è stato ascoltato anche Fausto Nicolini, direttore generale dell’Ausl (indagato e poi archiviato nella stessa inchiesta), che di fronte ai due comunicati stampa - uno del 2016, in occasione dell’inaugurazione della Cura, e uno del 2017, un anno dopo, nel quale se ne celebravano i risultati -, firmati da lui e dal sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, ha affermato che i comunicati stampa erano opera del suo staff e di non aver nemmeno letto le notizie in merito sui giornali. Insomma, un progetto lungo due anni, condotto in collaborazione con l’Ausl, di cui, però, ha dichiarato di non sapere molto. «Ma come ha fatto, avendo la rassegna stampa, a non vedere proprio le notizie sulla Cura?», ha chiesto Mazza, al quale Nicolini ha risposto dicendo di non leggere la rassegna stampa. Nicolini ha ricordato – a seguito di domanda della difesa di Anghinolfi che in commissione di inchiesta in Regione Emilia Romagna, attivata dopo le misure cautelari, egli aveva valutato i “numeri” della Val d’Enza come quelli di un fenomeno sommerso che in quel territorio si era intercettato, portando risultanze che si avvicinavano alle medie europee.

Nel corso delle scorse udienze era stata la neuropsichiatra dell’Ausl Gabriella Gildoni, tra i tanti testi ritenuti indagabili, ad ammettere che l’azienda sanitaria non era in grado di far fronte, col solo personale interno, alle esigenze dei minori per quanto riguarda la psicoterapia. E anche prima dell’arrivo della onlus di Foti, nel 2014, si era rivolta ad un centro privato, “Il faro” di Bologna, al quale aveva chiesto di effettuare la terapia sulla ragazzina fatta prostituire dalla madre.

Una richiesta che, però, non fu accolta, dal momento che il centro non era in grado di fornire una psicoterapia di secondo livello. Fu questa l’origine del percorso che portò alla Hansel e Gretel, che Gildoni già conosceva come centro specializzato per casi di maltrattamento, abuso e violenza assistita: già nei primi anni 2000, aveva infatti spiegato, c’erano stati dei contatti tra Ausl e Foti in tavoli di confronto sul tema del maltrattamento e dell’abuso. Il pm ha infine dato infine il consenso per l’acquisizione delle sit del dottor Cappello, il commercialista che consigliò di intestare le fatture alla Sie S. r. l. nei confronti di alcune famiglie affidatarie, con lo scopo di consentire il mantenimento di un criterio di prevalenza no profit alla Onlus, unico soggetto relazionatosi con l’Amministrazione e che provvedeva alla gestione del servizio. Nelle sommarie informazioni testimoniali, Cappello aveva chiarito che era stata una sua iniziativa e non di Foti o di Nadia Bolognini, attualmente a processo a Reggio Emilia, difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi.