«Il fratello di 10 anni gli monta sopra e mima atti sessuali». Queste parole sono contenute in un appunto del novembre 2014 ritrovato dalla difesa di Federica Anghinolfi, ex responsabile del servizio sociale della Val d’Enza, nella cartella clinica - custodita presso il Servizio di Neuropsichiatria infantile - di un bambino all’epoca di neppure 5 anni e per il quale le insegnanti della scuola d’infanzia avevano espresso forti preoccupazioni. Il contenuto di tale appunto è stato riconosciuto come informazione giunta alla attenzione del servizio di Neuropsichiatria, ha spiegato Mario Asti, tecnico della riabilitazione psichiatrica, che mercoledì è stato sentito al processo “Angeli e Demoni”, sui presunti affidi illeciti. Asti, in aula, non ha riconosciuto come suo quell’appunto. Ma il documento è contenuto in cartella clinica e combacia con la serie di segnalazioni di gesti di masturbazione compulsiva fatte dalla scuola di infanzia ormai da un po’ di tempo.

Mercoledì è stato sentito anche il pediatra del bambino, il cui libretto pediatrico è acquisito agli atti del Collegio. Si tratta di Costantino Panza, che nel 2013 prescrisse a N. una visita psicologica per analizzare le difficoltà di comportamento manifestate a scuola, visita che non venne fatta, ma che a seguito di nuova segnalazione della scuola venne poi svolta nel 2014, quando il bambino aveva 4 anni. Panza ha annotato nel libretto, a giugno del 2015, il contenuto di una telefonata con la responsabile del servizio educativo, che comunicava evacuazioni incontrollate da parte di N., encopresi e atti di masturbazione davanti ad altri. Mesi prima, la responsabile dei servizi educativi e le insegnati della scuola di infanzia avevano messo nero su bianco cinque pagine di relazione - depositata nel corso del processo - in cui si evidenziava come il bambino fosse solito toccare se stesso e i compagni nelle zone intime, affermando, su richiesta degli insegnanti stessi, che si trattava di un gioco praticato col fratellastro, assieme ai baci, «quando vanno a letto».

I comportamenti del bambino erano stati segnalati e monitorati per anni dalla scuola, che aveva poi documentato nella sua relazione il progressivo peggioramento del suo comportamento, fatto anche di iperattività e aggressività. Documenti che non sono stati riportati - nella loro complessità e gravità - nella motivazione della richiesta di misure cautelari e che sono stati prodotti a processo e adeguatamente valorizzati dalle difese, tacciate tuttavia dalla stampa come “dedite” a forme di «tecniche dilatorie» - ovvero all’esercizio del diritto di difesa. Atti «obiettivamente preoccupanti - aveva detto in aula, a luglio, l’avvocato Oliviero Mazza, difensore di Anghinolfi assieme a Rossella Ognibene -, perché indici di un disagio». Gli insegnanti avevano comunicato ad entrambi i genitori la situazione, riportando «con chiarezza i continui costanti e preoccupanti peggioramenti del comportamento - si legge nel documento ora a disposizione delle parti -, i frequenti comportamenti masturbatori verso se stesso e verso gli altri e la grossa regressione rispetto ai controllo degli sfinteri. In quella sede è stato più volte sottolineato che il livello di preoccupazione è alto». Affermazioni che avevano lasciato «sconvolta» la madre. Ma i genitori, secondo le conclusioni della scuola, «sembrano essere “affettivamente poco preoccupati” ed emotivamente poco protettivi e contenitivi verso» il bambino. Nel libretto pediatrico risultano appuntate le medesime situazioni sospette: incontinenza fecale, evacuazioni «incontrollate» in pubblico e «pratiche masturbatorie davanti a tutti».

Da qui la disposizione del Tribunale per i minorenni - poi disattesa dai genitori - di tenere lontani i due fratelli. Il 30 dicembre del 2015 è stato diagnosticato al bambino un disturbo del comportamento e della sfera emozionale, con la richiesta di riconoscimento di certificazione per l’ottenimento di un insegnante di sostegno. Ma il fatto di aver violato la disposizione di tenere lontani i due bambini ha spinto il tribunale per i Minorenni ad allontanare dal nucleo familiare il bambino più piccolo, che manifestava quelle sintomatologie. Il pediatra Panza, in aula, ha spiegato di aver saputo dell’allontanamento soltanto dalla madre - sul libretto pediatrico il riferimento alla decisione del Tribunale è appuntato sempre a marzo 2016 - e di esserne rimasto sorpreso. «Mi riferì che c’era una storia di abusi e maltrattamenti, ma non sapeva altro», ha spiegato il professionista, nonostante la madre fosse stata sicuramente messa al corrente dalla scuola, stando alla relazione delle insegnanti. I genitori, però, si sarebbero limitati a riferirgli che secondo le insegnanti il bambino era aggressivo e aveva difficoltà di concentrazione. «Su questa famiglia non ho mai segnalato bandierine rosse. Infatti l’allontanamento mi stupì», ha dichiarato. Insomma, un’idea diversa rispetto a quella che si erano fatti la scuola - per prima e i servizi sociali dopo, come certificato dalle difese. Su esplicita domanda della difesa dell’assistente sociale Francesco Monopoli, rappresentata dall’avvocato Nicola Canestrini, il pediatra ha dovuto ammettere che – nel 2015 - il contenuto delle informazioni a lui comunicate dalla responsabile dei servizi educativi avrebbe reso necessaria proprio la segnalazione che poi la scuola effettuò. Panza ha infine dovuto riconoscere che solo dopo aver avuto le comunicazioni dalla responsabile dei servizi educativi ha compreso l’impegno dei sintomi del bambino. Un atteggiamento che ha il sapore della retromarcia rispetto a quanto il pediatra aveva riferito fino a quel momento.