Molti «non ricordo» e tanta confusione. La testimonianza di Chiara Barazzoni nel processo sui presunti affidi illeciti doveva rappresentare la pistola fumante dell’accusa contro l’assistente sociale Francesco Monopoli (difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro) e la psicoterapeuta Nadia Bolognini (difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi). Ma il lungo esame di lunedì ha portato ben pochi punti sul tabellone dell’accusa, costretta più volte a richiamare le sommarie informazioni di ottobre 2019, un mese dopo il blitz, quando il quadro descritto era quello di un servizio ossessionato dagli abusi. «Non ricordo, ma se l’ho detto lo confermo», ha dunque più volte replicato la teste, educatrice professionale che ha seguito il caso del piccolo N. in sostituzione della collega Giorgia Ricci, dopo il suo collocamento presso gli affidatari, dalla fine del 2017 all’estate del 2018. Che ha però confermato alcuni dati, di fatto smentendo l’interpretazione fornita a sommarie informazioni.

Davanti ai carabinieri, la teste aveva dichiarato di non aver attribuito una connotazione sessuale al fatto che il bambino si fosse appoggiato su un pouf, negando che N. avesse sfregato i genitali sul ginocchio di Monopoli, «in quanto il bimbo aveva semplicemente tentato di sedersi sul ginocchio di Monopoli». In aula, ieri, ha però spiegato che lo sfregamento sul pouf c’era effettivamente stato, non ricordando, invece, quello sul ginocchio. Inoltre ha confermato che il bambino fissava il seno dell’affidataria, evento che lei e Monopoli avevano però interpretato in modi diversi. Barazzoni ha affermato che Monopoli aveva una modalità ordinaria di condurre i colloqui, così come gli altri assistenti sociali.

Un dato che, nel 2019, era stato rappresentato però diversamente: a sit si era detta infatti sconvolta dai metodi di Monopoli. In aula l’educatrice ha invece affermato di non ricordare domande incalzanti da parte di Monopoli e di non ricordare pressioni sul bambino. Inoltre, interrogata sull’ipotesi che Monopoli le abbia chiesto di scrivere falsi ha risposto di non aver «mai fatto relazioni insieme» e che l’assistente sociale non le aveva comunque mai chiesto di scrivere il falso.

A sommarie informazioni, Barazzoni aveva attribuito a Bolognini domande suggestive e chiuse, parlando di «un metodo» che le suscitava perplessità. Inoltre aveva fatto riferimento alle frasi di Monopoli che indicavano il bambino come dissociato, riconducendo la questione ad un possibile trauma di natura sessuale. Bauccio ha dunque interrogato la teste sui suoi titoli di studio: l’educatrice ha affermato di non aver mai sostenuto esami di psicologia, non avendo dunque le competenze per distinguere una domanda chiusa da una aperta e una domanda suggestiva da una non suggestiva.

Né di poter indicare un metodo, avendo incontrato Bolognini una sola volta, così come di non sapere cosa sia una dissociazione e quali siano i sintomi. La pm Valentina Salvi si è opposta alle domande di Bauccio, contestando l’intento di avere una valutazione dei fatti da parte di Barazzoni. Bauccio ha però reagito evidenziando che si trattava delle stesse domande poste dalla pm a sit, domande alle quali la teste aveva risposto, per sua stessa ammissione, usando in maniera aspecifica il termine metodo. La teste si è dichiarata comunque a conoscenza del fatto che a scuola il bambino avesse comportamenti sessualizzati, così come in altri contesti, ovvero a casa con i fratelli e il patrigno. Non solo: il bambino aveva un disturbo della condotta e un problema di linguaggio certificato, che spiegherebbe le difficoltà a rispondere alle domande di Bolognini. Difficoltà, dunque, potenzialmente non determinate dalla “qualità” delle domande. La teste ha poi confermato che il bambino aveva avuto un momento di agitazione dopo un incontro protetto con la madre, a seguito del quale aveva avuto episodi di enuresi e di encopresi, come lei stessa aveva scritto via mail.

Rossella Ognibene, difensore insieme a Oliviero Mazza dell’ex responsabile del Servizio sociale della Val d’Enza Federica Anghinolfi, ha letto in aula un appunto della supervisione fatta da più operatori sul bambino - alcuni dei quali non imputati -, nella quale veniva evidenziato che il racconto di N. sugli «abusi e le botte» da parte del patrigno fosse «coerente» e, dunque, ricorrente. Ognibene ha poi chiesto alla teste se ricordasse un episodio segnalato dalla scuola, quando N. aveva usato un righello per simulare un gesto di sgozzamento su un compagno, dicendo di averlo imparato nella famiglia d’origine. Un episodio segnalato dall’affidataria, che Barazzoni ha detto però di non ricordare.